Il governo nelle mani della Provvidenza

Inchieste. La richiesta d’arresto di Azzolini, presidente della commissione bilancio del senato, unita alla vicenda del Cara di Mineo, è una bomba per l’Ncd. Ma se Renzi balla, è pronto il soccorso verdiniano

La gior­nata nera di Ange­lino Alfano non potrebbe essere peg­giore. Tanto è densa di nuvo­loni gonfi che l’ombra arriva a palazzo Chigi, minac­cia Renzi e l’intero governo. La bomba di cui tutti si accor­gono esplode poco prima dell’ora di pranzo. Per il sena­tore Ncd Gae­tano Azzo­lini, pre­si­dente della com­mis­sione Bilan­cio, è stata spic­cata la richie­sta di arre­sti domi­ci­liari per il crack delle case di cura Divina Prov­vi­denza in Puglia. Reati pesanti: asso­cia­zione per delin­quere, ban­ca­rotta frau­do­lenta, più varie ed eventuali.

Il sena­tore dichiara subito che lui a dimet­tersi non ci pensa per niente: «Mi difen­derò in tri­bu­nale». I sena­tori dell’Ncd si riu­ni­scono con l’intero gruppo cen­tri­sta di Area popo­lare, scel­gono di fare muro. «Renzi deve sce­gliere la linea garan­ti­sta. Non può fare altri­menti», si allarga spe­ran­zoso un uffi­ciale. Signi­fica che l’Ncd reclama dal Pd il voto con­tra­rio alla richie­sta di arre­sto, e per mol­ti­pli­care gli argo­menti con­vin­centi fa bale­nare i col­tel­lacci. E’ stato per l’assenza dei sena­tori Ncd che mar­tedì, in com­mis­sione Affari costi­tu­zio­nali, il governo è stato bat­tuto nel parere di costi­tu­zio­na­lità sulla riforma della scuola. E la stessa com­mis­sione Bilan­cio, di cui Azzo­lini resterà pre­si­dente sino al voto sulla richie­sta d’arresto, è una di quelle che devono vistare e vagliare il ddl scuola. Non sono sot­tili le carte che il par­tito di Alfano può e vuole giocarsi.

Ma sta­volta il Pd non potrà starci. Non dopo aver già sal­vato Azzo­lini, in dicem­bre, vie­tando l’uso di inter­cet­ta­zioni che lo riguar­da­vano regi­strate dai tele­foni di terze per­sone. Non dopo aver votato per l’arresto di un depu­tato dem, Geno­vese. Non men­tre monta il caso del sot­to­se­gre­ta­rio Casti­glione, inda­gato per gli appalti del Cara di Mineo. E’ una bomba meno vistosa quella legata al pro­con­sole di Alfano in Sici­lia, ma è più defla­grante. Se il caso Azzo­lini è un ordi­gno ad alto poten­ziale esplo­sivo, la sto­riac­cia di Mineo è un mis­sile nucleare: in discus­sione non c’è solo il sot­to­se­gre­ta­rio ma il suo stesso capo, il mini­stro degli Interni Alfano. In discus­sione, dun­que, c’è la tenuta del governo.

Gli ele­menti rac­colti dall’Huffington Post, coniu­gati con le inter­cet­ta­zioni dell’inchiesta romana, non lasciano spa­zio a dubbi. Nella gestione degli appalti per il cen­tro d’assistenza immi­grati più grande d’Europa, tutto era viziato da cima a fondo. Sul modello delle «10 domande a Ber­lu­sconi» rivolte da Repub­blica ai tempi del Ruby­gate, l’Huffpost ne pone 8 a Alfano, e alcune adom­brano una tale com­pli­cità di fatto che la man­cata rispo­sta baste­rebbe a far dimet­tere un mini­stro in qual­siasi Paese dove la tra­spa­renza venisse presa sul serio. Quelle rispo­ste il tito­lare del vimi­nale non le ha date e non le darà. Non dirà per­ché, anche dopo la prima tran­che di Mafia Capi­tale, anche dopo l’allarme di Can­tone, non ha mosso un dito per veri­fi­care cosa stesse suc­ce­dendo nel Cara, né per­ché abbia con­sen­tito che solo a Mineo si alle­stisse un sistema diverso da quello degli altri cen­tri e che asse­gnava a Casti­glione poteri di sele­zione assoluti.

Que­gli inter­ro­ga­tivi sono stati ripresi ieri da una quan­tità di espo­nenti poli­tici: di Sel, come i capi­gruppo De Petris e Scotto, dell’M5S, come Di Bat­ti­sta; da Civati e dal ber­sa­niano D’Attorre. La set­ti­mana pros­sima Alfano dovrà rife­rire in aula al Senato: non sarà una pas­seg­giata. La Camera discu­terà le due mozioni di sfi­du­cia dei pen­ta­stel­lati e di Sel, anche se sinora non c’è calen­da­riz­za­zione. Per Renzi rischia di essere un cal­va­rio. Lui stesso se ne rende conto. A caldo aveva optato per il sof­fice metodo Lupi: «Nes­suno cac­cia il sot­to­se­gre­ta­rio, ma se lui desse le dimis­sioni da solo sarebbe oppor­tuno». Alfano si è oppo­sto. Toc­care Casti­glione è come toc­care lui, e per­ché sente che il cer­chio si sta strin­gendo, si pre­para alla bat­ta­glia finale.

Per l’Ncd il conto alla rove­scia è ini­ziato: più prima che poi esplo­derà. Una parte resterà col governo, un’altra sci­vo­lerà verso la casa madre azzurra. E a Renzi man­che­ranno i voti al Senato. La rete di pro­te­zione su cui conta il pre­mier è già pronta. Denis Ver­dini faceva sapere ieri di avere a dispo­si­zione 13 sena­tori, più pro­ba­bili ingressi dall’ala gover­ni­sta dell’Ncd. Resta un par­ti­co­lare oscuro. Pochi giorni fa quei sena­tori erano tre. Come si sarà data la loro mol­ti­pli­ca­zione? Forse un mira­colo. Forse, più pro­sai­ca­mente, un lea­der che tutto vuole tranne le ele­zioni anti­ci­pate ma che non può più appog­giare il governo, potrebbe aver con la dovuta discre­zione ’pre­stato’ a Denis qual­che testa. Un lea­der così in Ita­lia c’è: si chiama Sil­vio Berlusconi.

di Andrea Colombo

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/il-governo-nelle-mani-della-provvidenza/