in scena al teatro ELFO Puccini dal 1 al 13 aprile
Aldo Juretich, un anziano nato a Fiume negli anni venti, abitava a Monza. Dopo la Seconda Guerra mondiale visse la terribile esperienza di Goli Otok, il peggiore dei campi di internamento di Tito, in cui furono rinchiusi – dopo la rottura fra la Jugoslavia e l’URSS – quei “traditori” che rimasero fedeli a Stalin.
Nell’inferno di Goli Otok finì una parte importante dell’eroica Resistenza jugoslava: semplici resistenti ma anche eroi di Spagna, comandanti partigiani, membri di primo piano del Partito Comunista Jugoslavo, scrittori, poeti, artisti e persino ex agenti dell’Udba, la spietata polizia segreta.
Fra mille altre sofferenze (fame, sete, malattie, atroci violenze) il principio fondamentale su cui si reggeva il sistema di Goli Otok era quello del “ravvedimento”. Il prigioniero doveva rivedere la propria posizione e per dimostrarlo c’era un modo molto semplice: massacrare gli ex compagni, gli amici, a volte i fratelli, i figli, i padri.
Una volta finito l’internamento a Goli Otok per gli ex-prigionieri cominciava un secondo inferno: quello del completo isolamento dalla società. «Il sospetto è più forte della certezza. Una volta che sei finito nelle grinfie della polizia segreta quella non ti molla». Aldo, nonostante l’esperienza vissuta, era rimasto ancora saldamente legato a quei principi (traditi e disattesi) che lo avevano spinto ad aderire alla lotta partigiana, al Partito Comunista: l’internazionalismo, la pace, la libertà.
Nel testo Aldo (Elio De Capitani) viene visitato da un medico (Renato Sarti), pure lui di origine croata, il quale, dopo aver letto il libro Goli Otok, di Giacomo Scotti, riesce a convincerlo a raccontare la sua terribile esperienza.
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