Un giorno da pecora

E il ministro consegnò le dimissioni a Vespa

—  Andrea Colombo, 19.3.2015

Governo: Lupi abbandona le ultime resistenze di fronte a un Pd compatto per la sfiducia e al cedimento di Alfano, messo davanti alla minaccia di elezioni anticipate. E ora l’Ncd rischia il dissolvimento

Mau­ri­zio Lupi getta la spu­gna. Non di fronte al Par­la­mento: quella è una for­ma­lità che esple­terà sta­mat­tina a Mon­te­ci­to­rio. Di fronte a quella che un tempo veniva chia­mata, non tanto iro­ni­ca­mente, «la terza camera della Repub­blica», il salotto di Bruno Vespa, Porta a Porta. Lo fa per­ché «quando ti vedi tirato in ballo, non so per cosa, le deci­sione migliore è que­sta». Lo fa per­ché que­ste dimis­sioni «raf­for­ze­ranno l’azione di governo». Lo fa ammet­tendo un solo errore, pec­ca­tuc­cio veniale: «Non me la sono sen­tita di dire a mio figlio di resti­tuire il Rolex rega­la­to­gli per la lau­rea. Forse ho sbagliato».

Que­sta la linea uffi­ciale. La realtà è che il mini­stro delle infra­strut­ture si è ras­se­gnato quando ha capito che Mat­teo Renzi sarebbe andato fino in fondo. «Non mi ha mai chie­sto di dimet­termi», ha ripe­tuto ieri Lupi. Forse è vero. Di certo però Renzi gli aveva detto che tutto il Pd, non solo la mino­ranza, gli avrebbe votato con­tro. Che a defi­nire la situa­zione «inso­ste­ni­bile, al netto di qual­siasi scelta garan­ti­sta» non era solo Gianni Cuperlo, che poco prima aveva tirato la bor­data in que­stione, ma lo stesso stato mag­giore ren­ziano. A deci­dere, insomma, sareb­bero stati i depu­tati. Ma in que­sti casi si sa come vanno le cose. L’ipotesi che a ordi­nare all’intero Pd di recla­mare la testa di Lupi sia stato invece pro­prio il segre­ta­rio e pre­si­dente del con­si­glio è tutt’altro che fantasiosa.

Restava un solo appi­glio, e anche quello nel corso della notte si era rive­lato sci­vo­lo­sis­simo: la resi­stenza dell’Ncd, che appena 24 ore prima aveva minac­ciato il pas­sag­gio dalla mag­gio­ranza all’appoggio esterno. Con Ange­lino Alfano e con il suo gruppo diri­gente, Mat­teo Renzi ha ado­pe­rato lo schema a cui ricorre sem­pre in que­sti casi: la sfida diretta. Il pre­mier era con­vinto, a ragione, che di fronte alla minac­cia di una crisi e di ele­zioni anti­ci­pate che nes­suno, nep­pure lui vuole, ma che tutti hanno più motivo di lui di temere, i cen­tri­sti si sareb­bero arresi. Ancora una volta, i fatti gli hanno dato ragione e la carta si è dimo­strata vincente.

Per Renzi è un suc­cesso pieno, non solo per­ché è riu­scito a disin­ne­scare la bomba prima che defla­grasse col voto sulla mozione di sfi­du­cia che era pre­vi­sto per mar­tedì. Il risul­tato otte­nuto con lo sgom­bro di Mau­ri­zio Lupi dal mini­stero delle Infra­strut­ture è cospi­cuo di per sé. Al momento di for­mare il governo, l’ex sin­daco di Firenze aveva fatto il pos­si­bile per sot­trarre all’uomo di Comu­nione e libe­ra­zione una delle pol­trone più stra­te­gi­che che ci siano nel governo. In pri­vato non aveva nasco­sto la sua dif­fi­denza, e pro­prio per non legare troppo il suo nome a quello di Lupi aveva evi­tato di inviare qual­cuno dei suoi uomini di fidu­cia al mini­stero, una volta rive­la­tosi impos­si­bile sot­trarlo all’ex forzista.

Chi pren­derà ora il suo posto? Il dimis­sio­na­rio argo­menta che, «nell’interesse del governo», sarebbe meglio che non andasse a un espo­nente del Pd, per evi­tare che l’esecutivo diventi un mono­co­lore. Forse Renzi lo ascol­terà, ma solo per affi­dare l’incarico a un suo uomo di fidu­cia, pur se tec­nico. Raf­faele Can­tone, per esem­pio, o un altro magi­strato di peso e allo stesso tempo di pro­vata affi­da­bi­lità. Qual­cosa in cam­bio all’Ncd dovrà essere dato, ma non sarà un dica­stero impor­tante. Renzi punta agli Affari regio­nali. Il par­tito di Lupi spera in qual­cosa di più suc­cu­lento: nello spe­ci­fico un mini­stero che ancora non esi­ste ma che è da un pezzo in gesta­zione, quello «del Sud».

Sem­pre che dell’Ncd si possa ancora par­lare, e i primi a non esserne affatto certi sono pro­prio i diri­genti di quel par­tito, o almeno alcuni di loro. «Il Nuovo cen­tro­de­stra non esi­ste più», ammette uno dei più alti in grado. Segue pre­vi­sione tra le più fosche: pre­sto un numero con­gruo di par­la­men­tari abban­do­nerà la scia­luppa affon­dante per tor­nare al vascello di capi­tan Sil­vio, che ha dimo­strato di resi­stere alle tem­pe­ste molto meglio del pre­vi­sto. In que­sto caso, pro­prio come è avve­nuto con l’elezione del capo dello Stato, Renzi paghe­rebbe una vit­to­ria comun­que indi­scu­ti­bile con un aumento dei rischi per la sta­bi­lità del suo governo. Lupi, che tra tutti i diri­genti dell’Ncd è l’unico a van­tare un peso spe­ci­fico note­vole in Lom­bar­dia e che ha piaz­zato i suoi uomini in più o meno tutte le posta­zioni cen­trali di Cl, non farà parte dell’eventuale drap­pello di ri-transfughi. Non subito almeno. Ma se il dis­sol­vi­mento dell’Nuovo cen­tro­de­stra pro­ce­derà spe­dito, dif­fi­cil­mente resterà in un par­tito morente.

La scelta di Lupi, per quanto pochis­simo spon­ta­nea, è stata accolta da un coro di applausi, tanto fra­go­rosi da rive­lare quanto fondo sia il sospi­rone di sol­lievo che nascon­dono. Per il Pd è la vice­se­gre­ta­ria Debora Ser­rac­chiani a lodare l’alta «sen­si­bi­lità isti­tu­zio­nale» del quasi ex mini­stro, men­tre Lorenzo Gue­rini apprezza il «gesto poli­tico, un atteg­gia­mento ragio­ne­vole e serio».
Alfano poi si scom­pone com­mosso: «La deci­sione di un uomo delle isti­tu­zioni, one­sto e per bene». Oggi la mag­gio­ranza applau­dirà Mau­ri­zio Lupi in aula, per ren­der­gli l’onore delle armi. Ma se l’uomo si accon­ten­terà o se coverà ran­cori letali, ci vorrà un po’ per capirlo.

fonte: il Manifesto
http://ilmanifesto.info/e-il-ministro-consegno-le-dimissioni-a-vespa/