I più deboli in questo Paese non si possono permettere di mantenere in vita una sinistra in piena crisi esistenziale, che continua da dieci anni a elaborare il lutto delle proprie sconfitte, che si lagna delle scelte altrui come un amante respinto, che costruisce castelli di tattica nel vuoto di proposta politica.
A leggere i giornali il dibattito a sinistra mi appare come segnato da un nervosismo sopra le righe e da una terrificante coazione a ripetere.
E invece non c’è nulla che non vada nella direzione in cui è normale che vada. Non c’è una colpa degli altri contro cui puntare il dito, c’è una nostra responsabilità soggettiva da affrontare con determinazione e chiarezza. Probabilmente – salvo trucchi dell’ultimo minuto – avremo una legge elettorale dignitosa, disegnata sul modello di quella del Paese più stabile d’Europa, che non sacrifica la rappresentanza e che permette a tutti di misurarsi non sulla tattica ma sulla sostanza del progetto politico che si propone al paese. Smetteremo di fare gli americani e i provinciali, ed è un bene, perché americani non siamo e abbiamo un’altra storia e un’altra tradizione alle spalle.
Questa liberazione fa finalmente luce sulla sostanza dei programmi politici, e anche questo è un bene.
Se vogliamo essere onesti intellettualmente, Renzi e Berlusconi condividono ciò che serve a una collaborazione parlamentare: condividono un programma minimo fatto di liberismo economico, compatibilità europee, democrazia “decidente” e conseguente riduzione degli spazi di partecipazione, riduzione del ruolo del pubblico, una visione della politica economica espansiva ridotta a sequela di bonus, un atteggiamento moderatamente liberale sul terreno dei diritti civili, la convinzione che milioni di poveri e la crescita delle diseguaglianze siano un effetto collaterale drammatico ma inevitabile della necessaria permanenza nello scenario del mercato globale.
Condividono anche le fondamenta di un programma liberista sul mercato del lavoro: poche tutele, grande flessibilità, costruzione di un esercito di manodopera a basso costo. Perché in fondo meglio un lavoro mal pagato – dicono loro – che nessun lavoro. E lo stesso vale per l’ambiente: tutela sì, ma finché è consentito dagli interessi economici.
Renzi fa quel che è normale che faccia, vista la sua storia e le sue idee, che comprendono anche la fine della seconda repubblica.
Lo sdegno che tutto ciò provoca in alcuni nostalgici del centro-sinistra anni ’90 fa venire le vertigini in chi abbia a cuore un po’ di oggettività nello scorrere dei ragionamenti, anche perché gli anatemi che – giustamente – si lanciano su Renzi e sul suo dialogo costante con Berlusconi, non vengono lanciati allo stesso modo su Macron e Merkel, che sulla stessa linea di Renzi si candidano a governare l’intero continente.
E allora mi pare piuttosto che i Prodi, i Monaco, i Pisapia facciano molto fatica ad accettare che una fase della vita politica della nostra Italia si è chiusa con la sconfitta del centro-sinistra nel 2013.
La seconda Repubblica è diventata un ferro vecchio, non di botto, non nella notte dello spoglio elettorale, ma già prima: a spazzarla via ci ha pensato la crisi economica, la drammatica crisi sociale da essa prodotta, l’esplodere di una contraddizione gigantesca tra democrazia e mercato che fino all’esplosione della recessione era stata sopita da una moderata crescita economica e dalla promessa di “magnifiche sorti e progressive” implicita nel discorso mainstream sulla globalizzazione e sull’integrazione dei mercati europei.
E oggi siam qui.
Siamo dentro una tempesta sociale senza precedenti con l’urgenza di costruire il progetto più solido possibile. Quel che c’era vent’anni fa appartiene oramai a un altro popolo ed è ridotto in polvere.
Gli ulivi, è bene ricordarlo, nell’immaginario dell’Italia attuale sono quelli estirpati per far posto al progetto di un gasdotto che umilia le comunità locali del Salento e intorno a cui si muovono opachi poteri economici.
Gli asinelli, sono stati avvistati dai giovani di questo paese recentemente solo nei libri di fiabe e alle visite alle fattorie didattiche durante la loro infanzia.
I flash-back confondono e non hanno eco. Andiamo oltre e facciamo quel che si deve. Ci sono autorevoli dirigenti di quel partito, che provengono dalla storia della Sinistra, che lo hanno da poco lasciato. Non gli si chiede nulla di più che di dare un seguito, intellettuale e politico, a quella saggia scelta.
Ritornare con Renzi dopo aver abbandonato il suo partito sarebbe chiaramente incomprensibile ai più. Pensare che – dopo una scissione – gli italiani credano a un siparietto costruito ad hoc per fare in modo che Renzi appaia come colui che rifiuta l’accordo con la sinistra è una convinzione che fa tenerezza, che consiglio di abbandonare velocemente.
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fonte: Huffington Post