di Luca Fazio (fonte: il Manifesto 8.10.2014)
Milano. I capi di stato si blindano per celebrare l’Europa dell’austerity e in città le tute blu inaugurano la stagione di lotte sfilando a migliaia in corteo. La rabbia del capo dei metalmeccanici contro Renzi e il Pd: “Questo Parlamento non serve a niente, siamo pronti ad occupare le fabbriche”
Nel film Gran Torino di Clint Eastwood c’è un momento di svolta che gli spettatori non dimenticano, è quando un vecchio malmesso, lo stesso Clint, si rivolge a tre bulli aggressivi guardandoli negli occhi: «Avete mai fatto caso che ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto incazzare? Quello sono io».
Eccolo Maurizio Landini. Ieri era così, furibondo allo sciopero generale della Fiom di Milano. Non sembrava una recita la sua.
Il segretario nazionale della Fiom Cgil dice parolacce. Non lo fa apposta e non è un programma politico. Forse è di più. Certo non è una caduta di stile. Forse è la consapevolezza che ci sono persone, non solo lavoratori, che non vedono l’ora di sentire anche nella pancia qualcosa e qualcuno di credibile.
Per aggrapparsi a un’idea diversa di politica, proprio mentre laggiù, blindati dalle polizie di mezza Europa, i capi di stato si sono rinchiusi per discutere di lavoro e disoccupazione (e saranno pacche sulle spalle al presidente del Consiglio che si è presentato alla «colazione di lavoro» portando in dote lo scalpo dell’articolo 18).
E magari per sognare un nuova sinistra che non c’è, proprio mentre il Parlamento annienta se stesso votando la fiducia al jobs act con la complicità di chi non è più credibile perché prima fa finta di opporsi e poi si piega agli interessi della «ditta». Sembra una sfida alla politica quella di Landini: «Attenzione, noi non stiamo scherzando».
Non cita Malcolm X, ma lo evoca quando grida dal palco «lotteremo con ogni mezzo necessario». L’idea che forse bisogna andare oltre le solite liturgie resistenti diventa «notizia» quando la minaccia di occupare le fabbriche è il titolo della giornata. «Siamo pronti» è solo una frase rubata a margine del corteo metalmeccanico (3000 persone), ma è chiaro che non si tratta di una boutade.
E certa retorica anti parlamentare, che chi pontifica nel nulla della sinistra senza bussola potrebbe anche liquidare come «populista», non è altro che un attacco a questi politici di questo parlamento che votando la fiducia in bianco al governo tradiscono il loro stesso mandato: «Di questo Parlamento non ce ne facciamo niente», urla Landini. «Il Senato sta votando di continuare a rimanere lì per difendere le poltrone, siamo arrivati al punto che il governo può fare le leggi senza passare per il parlamento, questo è un attacco alla democrazia».
Quasi nessuno osa chiederglielo, ma molti se lo domandano: «Che fa, si butta in politica?». Non è un’auto candidatura, ma è evidente che il segretario della Fiom non può non accorgersi che cominciano a stargli stretti i panni del sindacalista. Il bersaglio è chiaro.
Quando Landini si rivolge al presidente del Consiglio usa sempre il tono di chi non vede l’ora di fare i conti con lui, ma quel «ti faccio vedere io» rubato a margine del corteo non è una sbruffonata, è solo un modo per dire cosa avrebbe fatto lui al posto della «sinistra» del Pd di fronte al ricatto della fiducia: «Ah sì? Guarda che non hai i numeri, ti faccio vedere io…». Se fosse stato un politico. Come dire che il dissenso interno al Pd è una farsa, e senza sponde politiche tocca parlare ancora più chiaro: «Se Renzi pensa di fare il figo dandoci 80 euro e pensa che siamo i coglioni che accettano la riduzione dei salari, allora si sbaglia di grosso». Non vuole rispetto, lo pretende: «Ci concede un’ora per discutere perché ha altro da fare e poi mette la fiducia sul jobs act? Attenzione, noi non ci facciamo più prendere per il culo».
L’informazione corre veloce, il tono del comizio colpisce e sui siti rimbalzano anche i fuori onda più piccanti. Ma l’ha detto? L’ha detto, l’ha detto. Rimangono brandelli di frasi da interpretare, la lunga teoria delle fabbriche milanesi e lombarde che si rimettono in moto, gli striscioni rimaneggiati per l’occasione («Renzi stai sereno») e la soddisfazione finale quando risulta evidente che è «buona la prima». Con l’aria che tira non era scontato vedere tanti metalmeccanici in piazza, gli organizzatori lo sanno: «Avevamo paura, invece è andata bene». E non sono soli, perché nelle retrovie si sono schierati pezzi di No Tav, antagonisti e studenti universitari. Sfondo che come sempre viene liquidato con «tafferugli». Due spintoni, quattro petardi, fumogeni, di più «il movimento» non può permettersi. Ma già domani gli studenti tornano in piazza. E il bersaglio sarà lo stesso.
In vista della corteo del 25 ottobre a Roma, la Fiom ha l’agenda piena. E anche per il futuro: «Noi non ci fermiamo», dice Landini. Il 15, 16 e 17 ottobre tornerà a scioperare nei territori, e l’invito è allargato a studenti e precari. La richiesta è esplicita, bisogna innovare forme e modi di partecipazione. Poi sciopero generale. Anche da soli. La carica bisogna suonarla per tutti. Soprattutto per la Cgil.
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