La denuncia di Human Rights Watch. Sono più di settemila le vittime delle uccisioni sommarie compiute da soldati e mercenari nelle aree più povere di Manila. Una carneficina che poco ha a vedere con il traffico di stupefacenti
di CHIARA NARDINOCCHI
ROMA – Non si ferma l’orrore per le strade della capitale filippina. Dal 30 giugno 2016 il clima di terrore che ha avvolto Manila continua a crescere come a crescere è il numero delle vittime cadute sotto i colpi della polizia o di mercenari senza processo e senza una motivazione plausibile. Così, dopo la denuncia di Amnesty, ora anche la Ong americana Human Rights Watch (Hrw) punta il dito contro il governo di Rodrigo Duterte e la sua presunta “guerra alla droga”, che vede cadere sotto i colpi illeciti delle forze di sicurezza persone povere, vissute nei bassifondi di Manila e solo in alcuni casi consumatori di sostanze stupefacenti.
Maschere e droga. Alcuni parenti delle vittime o testimoni involontari hanno raccontato di uomini dal volto coperto con maschere che hanno ucciso a sangue freddo, anche entrando nelle case dei sospettati e che sembravano in stretta collaborazione con i governativi. In altri casi invece le testimonianze raccolte parlano di agenti di polizia i quali, dopo aver ucciso i civili, hanno lasciato vicino ai cadaveri munizioni, droga e armi per simulare una prova. Sempre gli agenti, una volta interrogati, hanno giustificato le loro azioni come atti di legittima difesa. Oltre agli omicidi in strada, Hrw ha raccolto anche prove circa la morte di sospettati presi in custodia dalla polizia risultati poi come “morti sotto inchiesta” o come “cadaveri ritrovati”.
Licenza di uccidere. Gli analisti della Ong americana, nel report “Licenza di uccidere” hanno raccolto voci che parlano di agenti di polizia e mercenari assoldati dal governo Duterte, il quale continua a giustificare le uccisioni extragiudiziari come atti dovuti nella guerra contro lo spaccio. Per tracciare il quadro della situazione, i ricercatori hanno intervistato 28 familiari di vittime, ma anche giornalisti, attivisti e studiato i rapporti della polizia di Manila. “Le nostre indagini sulla ‘guerra alla droga’ nelle Filippine hanno provato come sia diventata una routine comprovata per la polizia filippina quella di uccidere i sospetti a sangue freddo e poi coprire il loro crimine posizionando droga e armi vicino al cadavere – ha detto Peter Bouckaert, direttore della sezione ‘Emergenze’ di Human Rights Watch e autore del rapporto – Il ruolo del presidente Duterte in questi omicidi lo rende in ultima analisi, responsabile della morte di migliaia di persone”.
Il castigatore dei poveri. Inseritosi nella politica filippina da outsider, date le sue umili origini, Duterte ha voluto imporre la sua figura forte e assai sopra le righe anche attraverso discorsi pubblici in cui “il castigatore” si è deliberatamente fatto beffa dei diritti umani e dei limiti da essi imposti alla sua crociata contro la droga. Con il passare dei mesi e l’aumentare delle morti extragiudiziari (a febbraio erano circa 7000) il pugno di ferro di Duterte non sembra allentarsi. Sebbene continui ad essere chiamata “guerra alla droga”, quella del “Trump delle Filippine” sembra più una guerra contro i poveri. Altro che signori della droga e ricchi mercanti, a cadere sotto i colpi delle forze di sicurezza sono in prevalenza persone di bassa estrazione sociale, provenienti dai quartieri più poveri di Manila. “Dietro la facciata dell’operazioni antidroga, la polizia filippina con il benestare di Duterte ha ucciso migliaia di filippini – continua Bouckaert – Molte uccisioni si assomigliano e svelano un modello di comportamento illecito da parte della polizia”.
Crimini contro l’umanità. Sebbene non siano ancora state scoperte prove concrete che colleghino il presidente alle uccisioni extragiudiziali, l’organizzazione non governativa sottolinea come le continue istigazioni da parte di Duterte a uccisioni sommarie come armi della sua guerra al narcotraffico potrebbero comprometterlo. “La ‘Guerra alla droga’ di Duterte – conclude Bouckaert – dovrebbe essere intesa più propriamente come un crimine contro l’umanità, dato il costante accanimento contro i più poveri. Se da un lato l’indignazione locale unita alle pressioni globali o ad un’inchiesta internazionale porranno fine a questi omicidi, dall’altro si spera che prima o poi i responsabili siano assicurati alla giustizia”.
fonte: La Repubblica