“Signor Presidente del Consiglio, caro Matteo, la rovina e la morte ci sono piovute addosso, con la furia di un evento alluvionale che ha ferito il nostro Gargano, insultando la sua bellezza, colpendo la sua ricchezza. Non appena la prima bomba d’acqua ha investito San Marco in Lamis, si è mobilitato un vero esercito di uomini e donne della Protezione Civile, del Corpo forestale, dei Vigili del fuoco, di tutte le forze di pubblica sicurezza, dei meravigliosi volontari che in questi anni abbiamo formato, organizzato e dotato di strumenti per operare sul campo. Quasi mille persone hanno ingaggiato un corpo a corpo che ha evitato la strage e che ha portato soccorso con i mezzi di terra, di cielo, di mare. A noi oggi tocca fotografare il danno, all’economia garganica, al comparto dell’agricoltura e della pesca, al turismo, alle infrastrutture civili, alle strutture produttive. A noi oggi tocca fare i conti con gli effetti di quella mutazione climatica che sconvolge le stagioni, che scopre e colpisce le nostre fragilità, che reclama rumorosamente un nuovo paradigma di vita civile e produttiva. Ma il disastro è anche, come dicono i filosofi, una “epifania”, cioè una rivelazione: rivelazione di ciò che è accaduto prima che si compisse lo schianto dell’acqua o del fuoco o del sisma. E questo è il racconto degli stupri che sfigurano complessi e delicati eco-sistemi, delle colate spesso abusive di cemento, degli sfondamenti nella montagna, del sovraccarico edilizio in aree fragilissime, della ostruzione al deflusso naturale delle acque, dei canaloni trasformati in discariche o strozzati da edificazioni che sembrano figlie del gioco d’azzardo più che di una ordinata pianificazione urbanistica.
La costa, il fiume, la montagna, la campagna: tutto è stato abusato, ovunque nel Bel Paese. Nel nome di un modello di sviluppo che estrae ricchezza privata dalla devastazione della ricchezza collettiva, che non sa calcolare tra i fattori produttivi di ricchezza: la storia, la cultura, la natura, la bellezza, il benessere, l’identità, il paesaggio. Noi non possiamo più continuare su questa strada, perché è un vicolo cieco, perché continuiamo solo ad inseguire emergenze su emergenze senza mai afferrare il bandolo della matassa: che io penso sia il tema più impegnativo di una autentica cultura riformatrice, e cioè coniugare economia ed ecologia, in una sorta di (uso una parola religiosa) “conversione” del modello di relazioni sociali e produttive. Per questo ci aspettiamo un ascolto attento e sincero da parte delle autorità centrali. La Puglia in questo decennio ha rifiutato di rinchiudersi in un recinto localistico, non si è proposta come una “piccola patria”, non ha inseguito le bandiere dell’identitarismo isterico o della nostalgia borbonica. Abbiamo voluto sviluppare la nostra vocazione mediterranea e la nostra ambizione europea, non ci siamo mai sottratti ai nostri doveri di membri di una comunità nazionale e protagonisti di una faticosa costruzione continentale. Non siamo stati una comunità né anarchica né autarchica. L’Italia ha bisogno di energia? Noi la produciamo in percentuali rilevanti, sia con i combustibili fossili che con le rinnovabili, nel fotovoltaico come nell’eolico come nelle bio-energie deteniamo il primato della produzione nazionale: noi offriamo un contributo straordinario al soddisfacimento del fabbisogno energetico del Paese. E quindi abbiamo il diritto di ribellarci alle trivelle in questa nostra striscia di mare, pensiamo che l’Adriatico non possa subire l’impatto di una sua mutazione in piattaforma energetica.
Diciamo si alla generazione diffusa di rinnovabili, si alla solarizzazione delle città, si all’efficientamento energetico degli edifici. Diciamo no a ciò che ci toglie l’orgoglio di essere protagonisti del nostro sviluppo: la ricchezza non è nascosta sotto i fondali, la ricchezza è la costa, la pesca, il turismo, il colore del nostro mare. Noi abbiamo sempre rispettato le competenze dello Stato e sappiamo che nell’incandescente contesto internazionale, con i rumori di guerra che riecheggiano sulla testa e sotto i piedi dell’Europa, la questione dell’autosufficienza energetica è questione di assoluta serietà.
Ma non è la “sindrome di Nimby” che spinge tutto il Salento a difendere un sito di pregio naturalistico, paesistico ed archeologico, in cui si prevede di portare il tubo di un gasdotto: e se il Ministero dei Beni Culturali stila un parere negativo su Tap, vuol dire che non stiamo discutendo di pregiudizi ideologici ma di giudizi scientifici. Sappiamo dire i Si che aprono al futuro, non quelli che ci ripiombano nei fasti e nei nefasti di un passato in cui siamo stati considerati terra da colonizzare, discarica a disposizione, una capanna dello zio Tom dove per quattro soldi si comprano pure la nostra dignità. Qui abbiamo attratto investimenti più che in tante altre regioni del Nord, colloquiamo con i più grandi gruppi industriali del mondo, radichiamo una presenza strategica nella meccatronica, nelle bio e nelle nanotecnologie, nell’areospazio, nell’agroalimentare: tra il 2007 e oggi abbiamo attratto 3 miliardi di euro di investimenti, con 8.768 imprese coinvolte. Non abbiamo solo dati incentivi importanti alle imprese (e secondo tutti gli studi, si tratta del più completo ed efficace catalogo di incentivi che esista nel Paese), ma anche sostegno alla formazione, all’internazionalizzazione. Abbiamo lottato, con misure concrete e azioni mirate, contro le strozzature del sistema creditizio. Qui in Puglia, insieme alla Campania, abbiamo ripensato al tema cruciale dei collegamenti e della mobilità delle merci e degli umani: qui abbiamo costruito un progetto di “alta velocità” tra Bari e Napoli, perché abbattere il muro che separa il Tirreno dall’Adriatico rappresenta un’opera economica e ambientale di prima grandezza, se si vuole davvero rivoluzionare il traffico merceologico, limitare il trasporto su gomma, collegare logisticamente i grandi porti del Mediterraneo.
Qui ieri abbiamo visto la realizzazione quasi ultimata del raddoppio dell’aeroporto di Palese, un capolavoro di eco-sostenibilità. Abbiamo ieri consegnato i lavori del raddoppio dell’aeroporto di Brindisi e abbiamo battezzato la riapertura del Gino Lisa di Foggia, con voli anche sulle rotte balcaniche. Tra qualche ora inauguriamo una fabbrica all’avanguardia, in quel segmento spaziale dell’economia dell’innovazione a cui abbiamo avuto il coraggio di guardare e su cui abbiamo deciso di investire. Qui abbiamo cominciato l’avventura di una nuova agricoltura, a partire dalla modernizzazione delle cantine, dalla spinta a fare sistema che si è trasformata nel marchio “prodotti di Puglia”, dalla coltivazione della canapa e dalla sua trasformazione in materiale per la bioedilizia, dallo sviluppo delle masserie didattiche. Qui abbiamo dato al turismo una cabina di regia, e abbiamo rotto l’isolamento che faceva della Puglia un luogo sconosciuto al mondo: oggi la Puglia rappresenta nel mercato internazionale un brand di qualità. Qui abbiamo cercato di cambiare la mentalità e i processi, per esempio chiedendo al comparto edilizio di accettare la sfida della riqualificazione e del riuso del costruito e della rigenerazione urbana, mentre interventi di ristrutturazione e manutenzione sono stati fatti sul 50% del patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Sappiamo dire si e sappiamo dire no. Sappiamo dire no alle mafie, che dal Gargano al Salento passando per tutte le province pugliesi, provano a rialzare la testa. Sappiamo dire no al caporalato, che è il marchio del disonore su alcuni angoli bui della nostra terra. onorare la memoria di chi, dicendo no alla speculazione e alle mafie, ci ha fatto dono della sua stessa vita: penso a Renata Fonte, assassinata da chi voleva fare di Porto Selvaggio e del magico territorio di Nardò, un grande buco da riempire di cemento.
Signor Presidente del Consiglio,
in Puglia si chiude un ciclo, un decennio in cui è toccato a me il compito impegnativo, entusiasmante ma anche doloroso di guidare l’amministrazione regionale. Ho imparato tanto, ho imparato da tutti. Tra tutti permettete ch’io ricordi un grande sindaco che ci ha lasciato, un intellettuale di destra, un galantuomo, un uomo con la schiena dritta, con cui ho avuto l’onore e il piacere di condividere la battaglia contro il rigassificatore nella pancia di Brindisi. Parlo di Mimmo Menniti, l’avversario ideale per chi considera la politica come servizio, come incivilimento, come passione. Non bisogna avere paura del conflitto, del contrasto delle idee: bisogna solo umanizzarlo, slegarlo dai vincoli di una cultura di guerra. Per chi ha la nostra fede, c’è un punto, come un’altura ripidissima, che è la più spinosa novità del nuovo testamento: una frase, un imperativo che dice “ama il tuo nemico”. Ma noi abbiamo trasformato quella pietra angolare in pietra di scarto. Non riusciamo neppure a concepire il pensiero di quella vetta. Qui, nel mondo odierno, il tramonto delle ideologie invece che spegnere ha acceso focolai di odio a ogni latitudine. E la politica vive di odii intensi, ma povera di senso, senza idee, solo rumore. Il rischio è che alla fine non vinca la bella gara delle idee e dei progetti, ma il brutto compromesso tra gli interessi. E l’odio serve allo share dei circhi tv.
Per questo urge restituire alla politica una missione più alta, una seria progettualità radicata nella conoscenza della realtà, urge liberarla dalla sua deriva pubblicitaria, ma anche emanciparla dalle piccole e grandi lobbies, dalle clientele, dalle corporazioni, dalla mucillagine degli interessi particolaristici, dalle caverne del localismo. Una politica che sappia venir fuori dai palazzi e dai talk-show. Fuori, a respirare i dolori e le speranze dei giovani, a imparare le storie dei vecchi, a studiare i saperi delle donne, a interrogare i bambini lasciandosi interrogare da loro. In molte politiche regionali abbiamo alitato questi pensieri, ne abbiamo fatto scelte di governo. Non è stata poesia. Se l’Istat incorona la Puglia come regina dell’Export, se in assoluta controtendenza registriamo ulteriore crescita nel turismo, se il traffico areoportuale lievita del 4% in questo anno drammatico, vuol dire che c’è stato un lavoro complesso e costante. Pur contrastando la follia ideologica e il sadismo sociale delle politiche dell’austerity, abbiamo sanato le nostre aziende, messo in ordine i bilanci, le agenzie di rating ci danno una buona pagella per “la costante capacità di abbattimento del debito”, e la Corte dei Conti certifica un bilancio in buona salute e anche un percorso di profondo risanamento della spesa sanitaria.
Tutto ciò che abbiamo costruito è figlio di una ispirazione, di una visione di noi stessi, della nostra storia, dei nostri doveri verso il futuro. Abbiamo cercato sempre di intrecciare modernità e tradizione nel nostro racconto e nella nostra ricerca di una Puglia migliore, coniugando identità e cosmopolitismo, cura delle radici e sguardo sull’intero mappamondo. Volevamo dire ai pugliesi: mettetevi sulle spalle le care cose antiche e i vostri vecchi e andate incontro a un mondo nuovo. Per noi oggi il cammino è verso una nuova cittadinanza, fatta di rispetto pieno dei diritti di ogni individuo, fatta di lavoro che può nascere dall’investimento in ambiente e cultura, fatta di arricchimento dei saperi della produzione, fatta di persone libere dalla gabbia della precarietà, fatta di educazione alla pace e alla convivialità delle differenze, fatta di accoglienza, di inclusione, capace di dare speranza.
L’ho chiamata patria, per dire di un impegno corale, per dire della radicalità del cambiamento necessario. Ho incontrato qualcosa che somiglia a questa Patria, ne ho visto qualche traccia, proprio sul Gargano, in quei piccoli presepi incastonati sul monte. La gioventù di Vico e di Carpino, che organizza la festa della transumanza e un bellissimo folk festival, ha accompagnato con le chitarre e con i canti la bara di Antonio Facenna, 24 anni, travolto e ucciso dall’acqua. Antonio era corso alla sua masseria, dai suoi animali, per metterli al riparo dal maltempo. Dentro un pianterreno di gente umile e bella, la madre e il padre di Antonio raccontano di questo figlio che studia ma si fa contadino, pastore, allevatore (“non un mestiere, ma uno stile di vita” così scrive Antonio su Facebook). C’è una foto tenerissima che lo ritrae felice mentre abbraccia un maialino appena nato. Tanti ragazzi e ragazze come Antonio abbiamo incontrato in questi anni, una energia fresca e pulita a cui abbiamo offerto occasioni e percorsi per emergere: con i bollenti spiriti, con i principi attivi, con le start up innovative, con tutte le politiche giovanili, con il sostegno alla scuola e all’università, con gli incentivi all’auto-impresa, con un investimento strategico nel cinema, nella musica, nei teatri, nei laboratori urbani. Per queste politiche la Regione Puglia è stata premiata a Bruxelles dalla Commissione Europea. Abbiamo fatto una grande semina, e ovunque sono germogliate cose nuove e cose buone. Appunto, le tracce di una patria abitata da una nuova etica della responsabilità, magari tracce nel fango, quello delle alluvioni e quello dell’arroganza e del cinismo del potere. Mentre mi accingo a congedarmi da un decennio che mi ha succhiato la vita, penso proprio ad Antonio e alla sua generazione e ai suoi sogni e alla sua masseriache diventerà – l’ho promesso ai genitori – una masseria didattica. Se ho fatto qualcosa di buono in questi dieci anni e in tutta una vita, vorrei dedicarlo proprio ad Antonio: è lui l’eroe della nostra storia”.