Fecondazione assistita, cade il divieto assoluto sulla selezione degli embrioni
La Corte costituzionale ha stabilito che non è reato nei casi in cui la tecnica di procerazione sia finalizzata ad evitare la trasmissione al feto di gravi malattie
CADE il divieto assoluto di selezione degli embrioni senza eccezione: la Corte Costituzionale ha stabilito che non è reato la selezione nei casi in cui sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, e nello specifico le patologie rispondenti ai criteri di gravità previsti dalla legge 194 sull’aborto.
La Consulta ha dunque ritenuto fondata una delle questioni sollevate dal tribunale di Napoli: la decisione dei giudici è legata alla sentenza che la stessa Corte ha emesso nei mesi scorsi, in cui ha bocciato la Legge 40 nella parte in cui non consentiva il ricorso alle tecniche di procreazione assistita a quelle coppie fertili portatrici, però, di malattie genetiche, e ciò “al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro” proprio per il “criterio normativo di gravità”. Dunque, “quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronunzia additiva, non può dunque – per il principio di non contraddizione – essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante”.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata in particolare sull’articolo 13 (commi 3, lettera b, e 4) della legge 40 – che prevede di sanzionare penalmente anche la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche – che violerebbe gli articoli 3, sotto il profilo della ragionevolezza, e 32 della Costituzione, per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’articolo 1 della medesima legge 40. E contrasterebbe anche con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica.
Impiantare embrioni sani è una prassi già seguita da tempo in Italia, come spiega Andrea Borini, presidente della Società italiana fertilità e sterilità e uno dei massimi esperti italiani in questo campo. “Non ho mai pensato che fosse un reato scegliere di impiantare nelle donne embrioni sani anzichè quelli malati. La nuova sentenza della Corte Costituzionale mette nero su bianco ciò che i centri italiani fanno già da un pò di tempo”.
Resta vietata la soppressione degli embrioni frutto di fecondazione assistita. La Consulta ha infatti ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Napoli relativamente alla parte della legge 40/2004 in cui “è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni” e “la violazione è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro”.
Secondo la Corte costituzionale, “la malformazione” dell’embrione “non ne giustifica, solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani”. Per questi non si prospetta, “allo stato, altra risposta che la procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che sia il più o meno ampio riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico”.
La Consulta ricorda poi che, con una precedente sentenza del 2009, aveva “già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione e l’ha bensì ritenuta suscettibile di ‘affievolimento’, ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti. Nella fattispecie in esame, il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione, non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista”.
fonte: La Repubblica