Ma che fine hanno fatto le unioni civili?

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Ma che fine hanno fatto le unioni civili?

Sembravano essere la priorità di Renzi ai tempi del povero Letta. Poi, appena andato al governo, le civil partnership sono finite nel dimenticatoio

di Susanna Turco

Sembra strano e lontanissimo a pensarci ora, perché il tema è finito di nuovo nel dimenticatoio. Ma c’è stato un momento, giusto a cavallo di Capodanno, in cui pareva che la priorità di Matteo Renzi fosse regolamentare al più presto le unioni civili. Doveva essere un must del governo. Del governo Letta, si intende. Allora “solo” segretario del Pd, Renzi aveva infatti inserito le unioni di fatto in cima alla lista dei desiderata per il nuovo fantomatico patto di governo 2014, accanto a questioncine come la legge elettorale. Uno strattonamento a sinistra che creò non pochi grattacapi all’allora premier, chiamato a gestire l’imbizzarrimento del Nuovo centrodestra di Alfano (figurarsi, contro-chiesero una “moratoria” sui diritti civili), ma che fece felice i laici di destra e sinistra. Non si parlava più dei light Dico, come ai tempi di Prodi, e depositata in Senato c’era una proposta di legge renziana ben più rivoluzionaria e pesante, che ricalcava il modello della civil partnership alla tedesca.

Per qualche giorno, o settimana, è parsa una valanga inarrestabile: a tratti addirittura sembrava che la tenuta del governo Letta si potesse giocare sulla capacità di fare una legge sulle coppie di fatto. “Renzi è determinato a tirare dritto su una questione che segna un cambiamento radicale e marca a sinistra il profilo del partito, ma fino a che punto?”; scriveva in quei giorni, più compiaciuto che preoccupato, il (filo renziano) Europa.

Renzi intanto twittava feroce: “Al governo con Ncd il Pd starà il tempo necessario per far approvare ius soli e civil partnership alla tedesca, su questo non c’è discussione”.

Una battaglia, la sua, non certo venuta da lontano. Nel 2007, da giovane presidente di provincia, il futuro premier riteneva quella sulle unioni civili una “battaglia mediatica” che tocca “la minoranza delle persone” e dettava ad Avvenire: “Non ritengo quella delle coppie di fatto una questione prioritaria su cui stare mesi a discutere per poi trovare un faticosa mediazione. Mi sembra un controsenso rispetto alle vere urgenze del paese”.

Posizione poi (legittimamente) cambiata nel tempo. Contrario nel 2007, Renzi è diventato parzialmente favorevole nel 2009: “Sono contrario alle adozioni da parte delle coppie gay, ma sono per estendere loro la reversibilità della pensione”, diceva a Sette.

E, infine, addirittura pronto, a parole, a inserire le unioni civili nel programma degli immaginari “primi cento giorni di governo”, ai tempi delle primarie 2012 (quelle che perse contro Bersani).

Urgenza riaffermata da neo segretario Pd, con una tal virulenza che il povero Enrico Letta, in limine mortis della propria esperienza di governo, inserì proprio le unioni civili nei 56 punti del tragico “Impegno italia”: prometteva di farle in sei mesi, entro giugno.

Quanto a Renzi, invece, una volta insediatosi al governo, la faccenda ha perso di nuovo di appeal. Perché? Anzitutto, perché il Nuovo centrodestra, dove è confluita la parte meno laica dell’ex Pdl, non ha certo cambiato idea rispetto a quando governava con Letta. Anzi. Quarantotto ore di confronto serrato fra le parti – Scalfarotto per il Pd contro Sacconi per il Ncd: dev’essere stato un momento bellissimo – all’epoca dell’insediamento del nuovo governo, ha infatti dato come risultante un vaghissimo impegno comune a fare una legge “fotografia dello stato di fatto”, e qualche altro bofonchiamento sul no alla pensione di reversibilità.

In sostanza, anche perché non c’era più nessuno contro cui scagliarla, la legge e l’urgenza di farla si sono perse nella notte. Per il momento, certo. ‘Che se glielo si va a chiedere, nell’entourage di Renzi si esprime ancor oggi del pur vago ottimismo. Eppure, la proposta di legge filo-renziana, depositata a dicembre, di passi finora ne ha fatti pochi.

Il ddl Marcucci, iniseme agli altri affini, è stato infatti discusso in commissione Giustizia appena in sei riunioni, tra marzo e aprile. L’ultima volta, si è arrivati al testo unificato. Un articolato piuttosto hard: riguarda esclusivamente “l’unione civile fra persone dello stesso sesso”, ma applica loro “tutte le disposizioni previste per il matrimonio” (dalla reversibilità della pensione all’eredità, passando per il cognome “di famiglia”, alle parole “marito” e “moglie”).

Unica e significativa differenza: l’impossibilità di adottare. Il che però non significa che non siano previsti “eventuali figli minori dell’unione civile”, o “di una delle sue parti”. Insomma, per come è scritto e vista la contrarietà di Alfano, appare difficile che il provvedimento arrivi da qualche parte. Tanto più che nel frattempo Renzi pare proprio aver smesso di considerarlo un punto determinante e, pur continuando a dirsi favorevole alla civil partnership, pare inclinarsi al benaltrismo (“le urgenze sono altre”) che aveva fatto proprio già sette anni fa.

fonte: l’Espresso
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2014/04/21/news/ma-che-fine-hanno-fatto-le-unioni-civili-1.162251