Immagine dal sito de la Repubblica
Roberto Ciccarelli ROMA
Istat. La crescita del Pil italiano al di sotto di quello della zona Euro: +0,3% più basso della Grecia
La stima preliminare sul Prodotto Interno Lordo (Pil) nel secondo trimestre del 2015 diffusa ieri dall’Istat conferma: la crescita in Italia è lenta e non produce nuova occupazione stabile. Il prodotto interno lordo italiano è aumentato dello 0,2% rispetto al trimestre precedente (cresciuto dello 0,3%) e dello 0,5% nel confronto con il secondo trimestre del 2014. A giugno la disoccupazione è tornata al 12,7% ((+0,2 punti su maggio), mentre quella giovanile (15–24 anni) ha registrato un nuovo record: +44,2%.
A Ferragosto, ecco il ritratto della trappola della «crescita senza occupazione» \[jobsless recovery\] in cui si dibatte il governo Renzi più di tutti gli altri paesi dell’Eurozona e dell’occidente capitalistico. Nello stesso periodo, ha rilevato l’Istat, il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% negli Stati Uniti e dello 0,7% nel Regno Unito. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 2,3% negli Stati Uniti e del 2,6% nel Regno Unito. Vediamo l’Europa. Secondo l’Eurostat peggio dell’Italia sta solo la Francia dove la crescita è piatta. La Spagna cresce dell’1%, la Germania dello 0,4%, mentre la Grecia registra un sorprendente +0,8%, nonostante le temperie in cui si trova il governo Tsipras.
Più nel dettaglio la variazione congiunturale al ribasso registrata dall’Istat nel Pil italiano è dovuta ad un calo dell’agricoltura, mentre il settore dei servizi ha registrato un aumento. Piatto è invece l’andamento dell’industria. Questa leggera flessione del Pil (0,2% contro lo 0,3% sperato) era stata già annunciata a luglio, quando l’Istat aveva intravisto un rallentamento nei settori produttivi. In quel caso era stata registrata una differenza tra il clima della «fiducia» tra le imprese — beneficiarie degli aiuti di Stato a suon di sgravi garantiti da Renzi nel suo «Jobs Act» e la mancanza di segnali di vita significativi sul lato dell’«offerta di lavoro». Tradotto: le imprese non fanno investimenti, e poi non assumono nuovi lavoratori. Tutt’al più si limitano a trasformare i vecchi contratti precari nella forma peculiare del «precariato stabile» del contratto a «tutele crescenti» che durerà finché dureranno gli sgravi. Il livello complessivo degli occupati «è rimasto sostanzialmente invariato» e «non si è ancora verificata una ripresa stabile dell’occupazione» scriveva l’Istat a luglio.
La situazione generale non è comunque confortante per il Vecchio Continente. Nel primo trimestre il Pil nell’Unione Europea a 19 paesi era salito dello 0,4%, così come nell’ultimo trimestre del 2014 (segnando un rialzo dell’1,2% rispetto allo stesso trimestre 2014). Per le aspettative della Banca Centrale Europea (Bce) sono dati deludenti che mettono a rischio l’efficacia della religione del momento: il «quantitative easing» (Qe), l’«allentamento quantitativo» con il quale Mario Draghi ha inondato l’Europa di liquidità a go go (60 miliardi al mese fino al settembre 2016), gonfiando a dismisura la cosiddetta «bolla dei titoli di stato». Secondo i verbali del consiglio direttivo Bce di luglio, anche le aspettative sull’inflazione sono deludenti.
Per l’Europa a 19 il 2015 si potrebbe chiudere sullo 0,3% mentre il Qe mira a riportare l’inflazione poco sotto il 2%, come da statuto. La bomba fatta esplodere mercoledì scorso dalla Banca del popolo Cinese (Bcp), che ha svalutato lo Yuan nel tentativo di rimettere il turbo alle esportazioni cinesi, sembra impensierire il direttorio di Francoforte. Per la Bce, infatti, questa azione potrebbe esportare in Europa la deflazione contro la quale è stato concepita il Qe.
La «tempesta perfetta» potrebbe crearsi con il definitivo rallentamento del Pil tedesco — la cosiddetta, e ormai ex, «locomotiva europea. Berlino rischia di avere un impatto negativo su un Pil che al momento continua ad avere buone performance. In linea tendenziale, sostiene Eurostat, crescerà quest’anno dell’1,5% contro una stima dell’1,6%. La svalutazione dello Yuan, combinata alla crisi del Pil cinese (molti parlano di una crescita «solo» al 4% invece del 7% annunciato), potrebbe chiudere lo sbocco a Oriente che ha nutrito il «boom» tedesco degli ultimi anni.
fonte: Il Manifesto
http://ilmanifesto.info/il-fantasma-della-ripresa-che-non-ce/