di Angelo Gerosa
Le immagini della Primavera di Praga che in questi giorni scorrono spesso in TV, ci rimandano a quel momento cruciale del “secolo breve”, e ci sono frasi espresse dai protagonisti di quei giorni, che ci aiutano a comprendere meglio l’agosto di cinquanta anni fa.
“O mi tolgo la vita” (Ludvík Svoboda).
Svoboda , generale cecoslovacco dell’armata rossa durante la seconda guerra mondiale, fu eletto Presidente della Repubblica, durante la Primavera, anche al fine di mantenere la fiducia dell’Urss.
Quando le truppe del Patto di Varsavia occuparono Praga arrestarono e deportarono a Mosca i sei principali leader della Primavera ed agirono sul “generale presidente” affinchè li sostituisse con Bil’ak e gli altri esponenti dell’ala conservatrice del KSČ (partito comunista) che avevano chiesto l’intervento “amico”.
L’appello di Svoboda ad astenersi da atti violenti contro le truppe di occupazione, illuse i sovietici di essere sulla buona strada, e Svoboda pretese un incontro con Brežnev.
Atterrato a Mosca, da perfetto generale, assumendo su di se ogni responsabilità, spiegò come riteneva suo preciso dovere ottenere il rilascio, nella conferma nei loro incarichi, dei sei arrestati, “o mi tolgo la vita”.
Svoboda, vecchio, solo, sconfitto, disarmato, ma irremovibile, piegò Brezniev.
I massimi dirigenti della Primavera rimasero al loro posto per altri due anni e, quando furono destituiti ed espulsi dal partito, non finirono in carcere (o peggio sulla forca) ma ebbero un lavoro, sia pure modesto (Alexander Dubček da operaio in una azienda forestale della Slovacchia).
“Piuttosto mandami in Siberia o sparami morto”, (František Kriegel)
Kriegel, Presidente del Fronte nazionale (organismo di massa che sosteneva il KSČ), dei sei leader della Primavera deportati a Mosca era sicuramente il più bizzarro: fuggito dall’ucraina per sottrarsi alla segregazione antisemita, si mantenne negli studi a Praga fino a laurearsi medico, per poi combattere in Spagna contro i franchisti, in Cina contro i giapponesi ed a Cuba (da consigliere) durante la crisi dei missili.
A Mosca, liberato da Svoboda, venne espulso dal tavolo della trattativa con i sovietici per un atteggiamento considerato arrogante, ed al funzionario che gli intimava di firmare l’accordo di resa raggiunto dai suoi compagni , rispose “Piuttosto mandami in Siberia o sparami morto”.
Kriegel, tornato in patria, riprese il proprio incarico e nell’ottobre 1968, in parlamento, con altri tre deputati, votò contro l’approvazione dell’accordo che non aveva firmato a Mosca.
Espulso dal partito nel 1971, fu l’unico tra i leader deportati a Mosca, ad impegnarsi nella dissidenza e nel Movimento Charta 77, subendo pesanti controlli polizieschi, ma non il carcere.
“ Non è così male trainare carrelli di uranio nei cunicoli della miniera” (Emil Zátopek)
Emil Zátopek di Zlin, città gemellata con Sesto San Giovanni, grande atleta (quattro medaglie d’oro olimpiche nei 10.000 metri e nella maratona), convinto militante comunista, appoggiò la Primavera, divenendone, per certi aspetti una bandiera e firmò il “documento delle duemila parole” che salutò l’abolizione della censura, chiedendo democrazia e pluripartitismo.
Ai sovietici che bollarono il documento come “controrivoluzionario” , in una intervista alla Tv di stato, rispose di aver firmato da “leninista convinto”.
Con l’invasione Zátopek, destituito da dirigente sportivo della nazionale, fu mandato a lavorare in una miniera di uranio, e la moglie Dana Zátopková, campionessa olimpica e primatista mondiale del giavellotto, agli arresti domiciliari a Praga (ma poi Fidel la volle a Cuba ad allenare la nazionale di atletica, forse per dimostrare che la sua condanna della Primavera più “un dovere” che una convinzione).
A normalizzazione avvenuta, al funzionario che gli propose di accettare lo status quò, riprendendo il suo posto da dirigente sportivo, Zátopek rispose “non è poi così male trainare pesanti carrelli di uranio nei cunicoli della miniera” dimostrando di essere invincibile nella vita quanto sulle piste di atletica.
Morì, di tumore, a 78 anni.
“Serbate rapporti ostili con noi e cordiali con chi ci ha occupato” (Gustáv Husák).
Gustáv Husák, come la maggior parte dei dirigenti comunisti cecoslovacchi, era di estrazione operaia.
Negli anni cinquanta, quale strenuo oppositore dello stalinismo, fu condannato all’ergastolo, e rimase in galera fino al nascere della Primavera a cui aderì divenendo vice segretario nazionale del Partito.
Espresse sempre grande prudenza, per il timore che la Primavera potesse finire male, ma non fu tra coloro che chiesero “intervento amico”.
Dopo l’occupazione, Svoboda, per non incaricare un uomo scelto dai russi, per poterlo affiancare ad Alexander Dubček, inventò la carica di Segretario unico, poi lo promosse Segretario generale, e poi Presidente del Consiglio.
Ad Husák toccò l’ingrato compito di liquidare la Primavera, e lo fece senza riempire le galere con i suoi ex compagni.
Pajetta, portavoce di un partito che sostenne la Primavera, ma non fino al punto di trasformare la condanna dell’invasione in uno strappo con i partiti occupanti, riporta lo sfogo con cui Husák apprese che il PCI non voleva instaurare rapporti politici con lui, in quanto esponente del nuovo corso: “evidentemente preferite serbare i rapporti cordiali per chi ci ha occupato” .