di Luigi Vinci.
Il ceto politico professionale delle grandi formazioni politiche e di buona parte di quelle minori da gran tempo nelle campagne elettorali proclama sciocchezze demagogiche, dichiara la propria inevitabile vittoria e attacca ferocemente gli avversari. Formazioni come il PD e Forza Italia, che hanno concorso per tre decenni alla definizione delle politiche europee più disastrose e ferocemente antisociali oggi sparano intenzioni di loro rettifica profonda. Il PD tuttavia tranquillamente le prosegue in Italia (si vedano le recenti norme sul lavoro giovanile, che ne incrementano il precariato), con l’appoggio parlamentare indispensabile di Forza Italia. Senza rincorrere il pollaio in questione e produrre percentuali di votanti per questa o quella formazione provo a scrivere quale è il senso generale di queste elezioni; ed, essendo esse elezioni europee, il loro senso guardando al versante politico e istituzionale europeo.
Prima però una piccola premessa al ragionamento, altrimenti il rischio è di non farsi capire. Udivo nei giorni scorsi compagni che affermavano l’esistenza di un’intrusione europea ben coordinata e svolta assieme agli Stati Uniti sul versante della crisi ucraina; e ne sentivo altri che si chiedevano cosa intenda fare l’“Europa” (l’Unione Europea) nei confronti della questione curda di Turchia, della crisi siriana, della questione palestinese. Analogamente in tanti si chiedono che cosa farà l’UE dopo queste elezioni; cambierà o no le sue politiche restrittive di bilancio, dando finalmente fiato a popolazioni ed economie? Ma, amici, prima di tutto dovreste chiedervi se l’UE davvero esista al punto di essere in grado di prendere decisioni unitarie e coerenti dinanzi a situazioni di crisi o alla propria stessa crisi, in specie al fatto di essere l’unica area del pianeta che rischia di passare dalla recessione alla deflazione, inoltre al fatto del suo discredito montante presso le proprie popolazioni. Siccome, allora, dovrebbe risultarvi evidente che l’UE dinanzi alle crisi si incarta, si scompone, procede facendo casino, zigzaga, ogni suo stato membro si arrangia per conto suo, ecc., tutte quelle domande hanno scarso senso. Questa costruzione massmediatica di un’UE macchina da guerra, un tempo gioiosa e oggi no, fa parte di un universo di rappresentazioni, appunto quello massmediatico, la cui distanza dalla realtà reale si è da gran tempo fatta siderale.
Ciò non so se debba fare piacere o dispiacere: lo si potrà capire solo dopo le elezioni; il loro risultato concreto sarà importante. Si potrebbe oggi pensare che debba far piacere che l’UE, per come è fatta e per quello che ha fatto e fa dinanzi alla crisi, sia una baracca in inizio di decomposizione: ma il processo decompositivo non verrà affrontato tentando di fermarlo e di capovolgerlo, rovesciando il contenuto recessivo e antisociale delle politiche di bilancio, quindi delle politiche economiche e sociali, non si pensi neppure per un istante che a pagarla carissima non saranno le classi popolari europee, e in termini ben più pesanti di quanto non abbiano pagato finora a quelle politiche. Dai governi dei paesi membri, e di quella baracca europea che fa da alibi delle porcherie antisociali dei governi dei paesi membri, continuerà addirittura incentivato l’andazzo di questi anni, a meno di riuscire a mettere l’UE su un’altra strada. Quindi farà piacere che la baracca europea sia in inizio di decomposizione solo se avverranno, anche attraverso il risultato delle prossime elezioni, cambiamenti significativi nella composizione politica del Parlamento Europeo, subito dopo, di conseguenza, della composizione e degli orientamenti della Commissione Europea, parimenti se ciò avverrà in termini tali da mettere in estrema difficoltà il proseguimento delle politiche recessive e antisociali praticate dai governi dei vari paesi membri, infine se al voto delle popolazioni si unirà un malcontento sociale diffuso su tutta la superficie europea trasformato rapidamente in una più estesa e meno occasionale mobilitazione sociale, a partire da quella di competenza sindacale.
Nel senso di una tale situazione europea non mancano fattori. Lo stesso fatto della crescita quasi ovunque di formazioni ostili all’euro o alla stessa Unione Europea opera in questo senso: per quanto la soluzione dei problemi non sia nelle loro posizioni, anzi si tratti di posizioni pericolosissime prima di tutto per quelle condizioni di vita popolari che queste formazioni pretendono di rappresentare, la loro crescita se portata ad ampi risultati elettorali condizionerebbe molto gli orientamenti complessivi del Parlamento Europeo e, di conseguenza, della Commissione Europea, le cui normative debbono infatti superare il filtro del voto parlamentare. Se a ciò inoltre concorrerà un rafforzamento (che stando ai sondaggi appare molto probabile) delle sinistre antiliberiste, appare anche possibile un comportamento parlamentare e un condizionamento parlamentare rispetto alla Commissione non velleitario e confusionario, bensì nutrito di orientamenti coincidenti con le richieste popolari e orientato a una politica economica espansiva.
Non solo. Una parte delle stesse formazioni tradizionali europee di comando potrebbe essere orientata all’effettuazione di concessioni a questa nuova linea. Ascoltando le dichiarazioni dei tre candidati alla presidenza della Commissione più gettonati (ma potrebbe non essere uno di loro il futuro presidente: il Consiglio Europeo, cioè il collegio dei capi di stato e di governo, ha il potere di proporre chi vuole, anche se competerà al Parlamento di votare il presidente della Commissione) appare che non solo il socialdemocratico Schulz ma anche il popolare Juncker e il liberale Verhofstadt affermano la necessità di cambiamenti nella politica di bilancio e in quella economica europee; va da sé, credo, che tanta duttilità sia l’effetto, più che di reali certezze, di ciò che si agita nella pancia delle popolazioni europee; e va da sé, perciò, che dipenderà sia dall’effettività o meno di mobilitazioni sociali ma anche di una certa ingovernabilità o meno del Parlamento Europeo se la futura Commissione, chiunque la presiederà, correggerà tanto o poco le politiche di bilancio ed economiche europee sin qui praticate.
In Italia contro queste politiche sono schierate forze eterogenee: i fascisti di Giorgia Meloni e la Lega Nord del nazistoide Salvini, come tali da non prendere in considerazione; il MoVimento5Stelle di Grillo; la lista di sinistra L’altra Europa/con Tsipras. Votando MoVimento5Stelle ci si limita a protestare: votando L’altra Europa/con Tsipras si uniscono alla protesta un ragionamento e una proposta. Come dire, chi voterà MoVimento5Stelle toglierà alle politiche recessive e antisociali un voto, chi voterà L’altra Europa/con Tsipras gliene toglierà due.