di Angelo Gerosa. Cosa ci dice in termini di politica economica l’esito del voto?
E’ facile rispondere in quanto nelle recenti elezioni le “ricette economiche” contenute nei programmi dei diversi partiti erano molto esplicite, così come “le classi sociali” a cui queste ricette mostravano attenzione.
Con il PD ha perso l’attenzione al “ceto medio”, ben rappresentata dalla proposta di estendere a pensionati e lavoratori autonomi gli 80 euro e di confermare le detrazioni fiscali del 50% e 65% per le spese di recupero edilizio e risparmio energetico.
Con i 5 Stelle ha vinto l’attenzione alla parte più povera del paese (il sottoproletariato si sarebbe detto in altri tempi) ben rappresentata dalla parola d’ordine del reddito di cittadinanza.
Con la Lega ha vinto l’attenzione alla parte più ricca della popolazione (la borghesia per intenderci) con la parola d’ordine della flat tax al 15%.
Chiarezza evidenziata anche dal dileggio delle proposte altrui: gli 80 euro “mancia elettorale” (pur corrispondendo ad oltre 100 euro lordi, circa il doppio di quanto oggi strappa un buon rinnovo contrattuale), le detrazioni edili “regali fiscali” (pur se compensate dal maggior gettito di imprese e lavoratori edili e dalla migliore qualità urbana), il reddito di cittadinanza “trovata populista” (nonostante trovi l’attenzione delle migliori menti economiche del pianeta) e la Flat tax “un rubare ai poveri per donare ai ricchi”.
Molti ritengono probabile un prossimo ritorno alle urne e si auspica che, in tal caso, l’opinione pubblica pretenderà una adeguata illustrazione delle diverse “ricette economiche” in campo.
Illustrazione tutt’altro che impossibile in quanto il costo ed il significato di queste proposte è ben conosciuto dagli esperti.
80 euro e detrazioni per il recupero edilizio valgono complessivamente 15 miliardi/anno (rispettivamente 9 e 6), un impegno che non lascia risorse per eventuali altre manovre espansive di un certo significato, se non mediante maggiori entrate fiscali (che il PD non prevede).
Il reddito di cittadinanza (nella proposta a 5Stelle) vale circa 17 miliardi, costo che si coprirebbe o introducendo un rilevante aumento fiscale, o abrogando “80 euro e detrazioni per il recupero edilizio”.
La Flax Tax versione Salvini comporta un minor introito stimabile in 120 miliardi, che non si bilancerebbero neppure sopprimendo 80 euro, detrazioni per il recupero (15 miliardi) ogni altra detrazioni e deduzioni fiscale comprese quelle da lavoro dipendente, autonomo e pensione (54 miliardi) e l’esenzione della tassazione sulla prima casa (4 miliardi). Rimarrebbero altri 40 miliardi da coprire con drastici tagli a sanità, previdenza, educazione e sicurezza.
Chiarezza di cifre e di opzioni che permetterebbe agli elettori di esprimersi con cognizione di causa, evitando di sostenere proposte che vanno esattamente contro il proprio interesse.
Non ho citato la sinistra, ovvero la mia parte politica, per il fatto che, purtroppo, nelle recenti elezioni non ha avanzato alcuna “ricetta economica”, se non un semplice e generico auspicio di “minore diseguaglianza sociale”.
Nell’ipotesi di un ritorno alle urne la sinistra potrebbe rivolgersi innanzitutto a disoccupati e lavoratori (il proletariato per intenderci) con “ricette economiche” precise quali un Piano per il lavoro (di “Di Vittoriana” memoria) e il salario minimo, possibilmente evitando contrapposizioni con il reddito di cittadinanza, che si rivolge a chi il lavoro non ce l’ha, e neppure riesce ad immaginarselo.
Ricette economiche da rendere concrete e fattibili mediante un rigoroso aumento della tassazione (maggiore progressività, patrimoni, eredità, lusso).