Egitto: centinaia di manifestanti stuprate

9720-1L’Egitto ha bisogno di una rivoluzione contro le violenze sessuali “I nuovi casi di abusi contro le manifestanti in piazza Tahrir mi ricordano la mia drammatica esperienza nel 2011”, racconta Mona Eltahawy. Nel novembre 2011, dopo aver partecipato ad una protesta in Mohamed Mahmoud Street al Cairo con un’amica, la polizia egiziana mi ha picchiato – rompendomi il braccio sinistro e la mano destra – e ha abusato sessualmente di me. Sono stata anche arrestata dal Ministero dell’Interno e dall’intelligence miliare per 12 ore.
Dopo il mio rilascio, ho fatto di tutto per non piangere quando ho visto il volto di una donna gentile che non avevo mai incontrato, se non su Twitter, che è venuta a prendermi e mi ha portato al pronto soccorso. È ora una cara amica. Mentre raccontavo all’infermiera dell’accettazione cosa mi era accaduto, lei mi ha interrotto al “hanno abusato di me” per chiedermi: “Perché glielo ha permesso? Perché non ha provato a resistere?”.
Erano passate circa 15 ore da quando la polizia mi aveva aggredito; volevo solo fare i raggi x per vedere se mi avessero rotto qualcosa. Le mie braccia sembravano gli arti di Elephant Man. Ho spiegato all’infermiera che quando sei circondata da quattro o cinque poliziotti, che ti picchiano con i loro manganelli, c’è poco da fare per resistere.
Ho pensato a lungo al discorso avuto con l’infermiera. Ogni volta che leggo dello spaventoso numero di donne abusate sessualmente la scorsa settimana durante le proteste contro Mohamed Morsi in piazza Tahrir, mi chiedo il perché di tanta durezza dopo la brutalità. Gli attivisti di gruppi di base che intervengono per evitare la violenza sessuale contro le donne a Tahrir hanno documentato oltre cento casi; molti erano assalti di gruppo, altri hanno richiesto assistenza medica. Una donna è stata stuprata con un oggetto tagliente. Spero che a nessuna sia stato chiesto “perché non hai provato a resistere?”. Questo non è un saggio sui regimi egiziani come quello di Mubarak che aveva come target le attiviste e le giornaliste per ragioni politiche. Nemmeno un saggio su come i regimi come quello di Morsi abbiano ampiamente ignorato le violenze sessuali, anche se ne erano a conoscenza, incolpando le donne per aver provocato le aggressioni. Non è neanche un articolo su come tali assalti e il rifiuto di punirne i responsabili ha dato il via libera ai nostri stupratori, convincendoli che i corpi delle donne sono un gioco. Non vi dirò- se non fosse per il silenzio e il negazionismo sulle violenze in Egitto – che queste aggressioni non erano così comuni per le strade egiziane.
Non so chi sia dietro questi abusi in piazza Tahrir, ma so che non attaccherebbero le donne se non sapessero di farla franca e che alle ragazze abusate viene chiesto “perché non hai resistito”. Dalla base, abbiamo bisogno di una campagna nazionale contro la violenza sessuale in Egitto. Deve spingere chiunque venga eletto per il nuovo governo e per il parlamento a prendere seriamente la questione.
Se il nostro prossimo presidente sceglierà – come fece Morsi – di parlare alla nazione da un palco in piazza Tahrir, che saluti le donne che sono scese in piazza a migliaia, sapendo di rischiare aggressioni, ma rifiutando di lasciare lo spazio pubblico. Il nome della piazza significa letteralmente “liberazione” e saranno state queste donne che, nonostante il rischio di abusi, avranno aiutato il nuovo presidente ad essere eletto.
Senza dubbio, il Ministero degli Interni egiziano ha bisogno di riforme, nello specifico dovrà affrontare la questione degli abusi sessuali. La polizia raramente, quasi mai, interviene, arresta o fa pressioni. Dopotutto è stata la stessa polizia ad aggredire me. Il loro supervisore mi ha anche minacciata di uno stupro di gruppo, mentre i suoi sottoposti mi aggredivano di fronte a lui.
Ogni donna che finisce in pronto soccorso merita molto di più di un “perché non hai resistito?”. Infermieri e dottori necessitano di un training sul come prendersi cura delle vittime di violenza sessuale e su come raccogliere le prove.
Si è parlato della creazione di unità di poliziotte, ma anche loro hanno bisogno di essere addestrate. Hanno bisogno di kit anti-strupro – nel caso improbabile che una donna riesca a denunciare uno stupro in Egitto. Quando raccontavo delle violenze sessuali al Cairo negli anni Novanta, molti psichiatri mi raccontavano che i loro uffici erano le mete preferite dalle donne che avevano subito violenza, che fosse accaduto a casa o in strada, perché temevano di essere stuprate ancora nelle stazioni di polizia.
Se la paura è ancora giustificabile oggi, qualcosa inizia a cambiare: sempre più donne denunciano pubblicamente le aggressioni. Mi inchino al coraggio di queste donne, ma mi chiedo dove trovino conforto e sostegno dopo averlo raccontato. La terapia psicologica non è facilmente accessibile in Egitto. Abbiamo bisogno di più preparazione da parte degli esperti che intendono dare un mano.
Dobbiamo reclutare stelle del calcio e della musica in campagne pubbliche: cartelloni enormi, sullo stile di quelli per le elezioni presidenziali, vanno posti su ponti ed edifici per inviare agli uomini chiari messaggi sulla violenza sessuale, ma anche spot in tv e alla radio. La cultura stessa gioca un ruolo nel cambiamento: il teatro e le altre arti tipiche in Egitto possono aiutare a rompere il tabù; abbiamo bisogno di più spettacoli televisivi e film che parlino della violenza sessuale.
In Egitto c’è un innato e ardente desiderio di giustizia. Le rivoluzioni lo faranno. Dobbiamo coordinare gli sforzi e puntare ad una campagna che venga incontro ai bisogni di ragazze e donne di tutto il Paese, non solo del Cairo e delle grandi città.
Nel gennaio 2012, ho passato alcuni giorni con una ragazzina di 12 anni che chiamerò Yasmine, per un documentario di cui ero autrice, “Girl Rising”. Il film metteva insieme nove scrittrici con ragazze provenienti dai loro Paesi di origine le cui storie servivano ad illustrare l’importanza dell’educazione delle donne. Cinque mesi prima di incontrarla, Yasmine era stata stuprata. Le mie braccia erano ancora rotte e ingenuamente avevo pensato di rimuovere i gessi per fingere che fosse tutto ok, per proteggerla. Non volevo che pensasse che a 30 anni, come ne avevo io, potesse ancora essere oggetto di una tale violazione. Ma lei non aveva bisogno della mia protezione e sono stata felice di non aver tolto i gessi perché, appena ci siamo incontrate, mi ha semplicemente detto: “Aprirò il mio cuore con te e tu lo aprirai con me, ok?”. Mi ha raccontato cosa le era accaduto. Ho ammirato il suo coraggio e la sua insistenza nel voler andare alla polizia con la madre per denunciare lo stupro. È stata fortunata ad aver trovato un poliziotto che ha preso sul serio la sua denuncia.
Quando le ho detto cosa era successo a me, è rimasta scioccata dal fatto che i miei aggressori fossero poliziotti: “Hai denunciato quello che è successo? Li hai portati in tribunale”, mi ha chiesto.
Yasmine non ha avuto un solo giorno di educazione formale. Lei crede di meritare giustizia. Tutti noi lo crediamo.
Traduzione a cura della redazione di Nena News