Dove intende portarci Renzi

di Luigi Vinci.   “Interpretare” le intenzioni di Matteo Renzi non è facile, essendone il discorso costruito con i mezzi della pubblicità anziché della politica. E’ anche azzardato: il comportamento politico del personaggio, coperto da omogenee dichiarazioni sulle proprie pulsioni attivistiche, è stato sommamente incoerente, non solo nell’ultimo tratto. Tuttavia qualcosa si può ipotizzare, muovendo da frammenti di discorso o da dati più o meno noti; e può essere molto utile farlo, in veste di tentativo di evitare ulteriori abbagli e pasticci a sinistra.

Si può cominciare guardando al patto con Berlusconi in materia di legge elettorale e di riforme costituzionali (trasformazione del Senato, modificazione del Titolo V della Costituzione, cioè di quanto attualmente definisce un assetto federativo molto caotico e farraginoso dello stato, oltre che denso di intenzioni antidemocratiche). Ciò che si è snodato davanti ai nostri occhi in materia di legge elettorale è consistito, in buona sostanza, in un rifacimento peggiorativo del Porcellum, sfacciatamente incurante della sentenza della Corte Costituzionale, che aboliva la parte di questa legge lesiva sia del principio di rappresentanza delle effettive posizioni politiche dell’elettorato che del diritto di quest’ultimo a essere esso a selezionare i propri rappresentanti, in luogo dei vertici di partito. Il peggioramento sta nel fatto che, a lesione del principio di rappresentanza, sono state alzate le soglie di sbarramento, e che, a lesione del diritto dell’elettorato a selezionare i propri rappresentanti, si è passati da liste bloccate ampie a liste bloccate ridotte, quindi ancor più determinate dai suddetti vertici. Inoltre, a peggiorare ulteriormente le cose, c’è che la legge elettorale Renzi-Berlusconi risulta favorire esclusivamente gli interessi elettorali di quest’ultimo ovvero danneggiare pesantemente, oltre le terze forze minori, lo stesso PD. La retorica su “Renzi che tanto lo votano anche quelli che non sono di sinistra” copre a malapena il fatto che uno schieramento elettorale che unisca l’intera destra potrebbe vincere le prossime elezioni.

Quindi non possono non porsi alcune domande. Intanto, perché questo comportamento di Renzi? Forse perché al vuoto dei contenuti corrisponde un mix di imperizia e di narcisismo megalomane? O (anche) perché dentro all’accordo con Berlusconi c’è anche parecchio d’altro, ovviamente non dichiarabile nel suo effettivo contenuto?

Molti fatti orientano nel senso dell’esistenza di un tale non dichiarato. Alcuni sono sotto sostanziale silenzio stampa, oppure sono presentati dai mass-media come dovuti a stati di necessità o come opportuno abbattimento dei costi della politica. E’ scomparso o quasi, dunque, dai discorsi di Renzi il tema del conflitto di interessi; anzi abbiamo assistito alla sostanziale riabilitazione politica di Berlusconi, cioè all’annullamento degli effetti politici delle sue condanne. La tendenziale distruzione del finanziamento pubblico alle forze politiche e la sua sostituzione con la possibilità di elevati finanziamenti privati, ovvero, detto in italiano, la consegna delle maggiori forze politiche al sostegno finanziario delle classi ricche, è un altro fatto di grande rilievo. Questa consegna a questo sostegno finanziario, anzi, ha cominciato riguardo a Renzi fin dall’inizio: senza il finanziamento di una quantità assai ampia di grandi gruppi industriali e bancari (e l’appoggio dei media da loro controllati), il suo assalto prima alle segreteria del PD e poi alla presidenza del consiglio avrebbe avuto l’efficacia degli strumenti usati, per dire, da Pittella o da Civati. Ovviamente anche questo sostegno è stato silenziato, o è stato addirittura presentato, in quanto gli assalti hanno avuto come luogo fisico propedeutico primarie a partecipazione aperta a chiunque volesse, come elemento di ridemocratizzazione della politica.  

Ma poi, tra parentesi: questi quattrini sono solo italiani? Consigliere economico di Renzi è l’israeliano Yoram Gutgeld, studi negli Stati Uniti, naturalizzato italiano, eletto alla Camera alle scorse elezioni, e fin qui niente da dire se non “che strano”: ma, ohibò, c’è pure che Gutgeld è stato senior partner e direttore fino al marzo 2013 (cioè a elezioni comprese) della McKinsey&Company, multinazionale di consulenza di direzione, intortata dunque all’intera grande finanza e all’intero insieme delle holding occidentali. Troviamo inoltre a fare il consulente di politica internazionale di Renzi il teocon amico di Israele e dell’Arabia Saudita Michael Ledeen.

Chiusa parentesi. Un ultimo fatto da considerare prima di formulare un’ipotesi interpretativa di portata ampia sui significati effettivi dell’ascesa di Renzi nella politica italiana, guardando, inoltre, non solo alle intenzioni di questi ma anche a quelle dei suoi finanziatori ergo, a parer mio, anche registi, è la defenestrazione brutale di Enrico Letta. L’intenzione vera di Renzi, ma era sottesa a una quantità di atti, era stata da subito non di stimolare Letta a fare, ma di farlo fuori più alla svelta possibile. Dapprima ciò è stato tentato cercando di logorarlo ai fianchi e di farlo sfiduciare da altri; poi, data la capacità di Letta di fare melina, è risultato necessaria accoltellarlo. Parimenti è risultato che l’intenzione vera di Renzi è di un proprio governo che arriva a fine legislatura, cioè al 2018. Ciò non poteva non rompere ogni coerenza rispetto ai dichiarati precedenti: dall’intenzione di un governo tutto PD (o tutto di centro-sinistra), da realizzarsi tramite un rapido passaggio elettorale, all’assegnazione ai piccoli partiti (anziché, secondo verità, un tempo alla DC, poi al filotto PDS-DS-PD e a quello FI-PdL-FI) di un DNA protervo, tutto orientato a ricattare e a fare cadere governi a nome degli interessi privati di ristretti gruppi dirigenti, quindi da far fuori con soglie di sbarramento micidiali. Ma alla fine, come nei peggiori regimi autoritari, ciò che effettivamente conta è la capacità di imbonimento della popolazione da parte del leader forzuto e attivistico, non già la coerenza interna di ciò che questi dice o la coerenza tra ciò che questi dice e ciò che fa.

Dunque, procedendo nell’analisi, solo guardando assieme ai suddetti fatti i conti tendono a tornare. La legge elettorale diventa prima di tutto il modo della riabilitazione politica di Berlusconi, in cambio del riconoscimento da parte di Berlusconi di Renzi come antagonista politico che opera nella medesima prospettiva di fondo: che, in poche parole, è una complessiva ristrutturazione a destra degli assetti politici, istituzionali, economici, sociali dell’Italia. Solo data quest’intenzione si può capire, in particolare e soprattutto, come mai Renzi disponga di tanto appoggio finanziario (e massmediatico); comprenda, oltre alle suddette figure non italiane, anche figure nostrane in quantità, tra le quali, per citare solo le più importanti, Marco Bernabè, Patrizio Bertelli, Francesco Gaetano Caltagirone, Vittorio Colao, Claudio Costamagna, Carlo De Benedetti, Diego Della Valle, Leonardo Del Vecchio, Oscar Farinetti, Andrea Guerra, Martina Mondadori, Albert Nagel, Fabrizio Palenzona, Corrado Passera, Giuliano Poletti (Lega delle Cooperative), Alessandro Profumo, Gianfelice Rocca, Cesare Romiti, Davide Serra (già direttore generale della Morgan Stanley, una delle maggiori banche d’affari USA), Marco Tronchetti Provera, Bruno Valentini (sindaco di Siena e quindi azionista di riferimento del Monte dei Paschi), infine (udite udite) Fedele Confalonieri (che vede in Renzi il reale successore di Berlusconi) e Barbara Berlusconi.

D’altra parte (ed è questo il punto analitico di fondo) la crisi italiana, politica, istituzionale, economica, sociale è arrivata a quel tipo di situazione che vede la maggioranza della popolazione ritenere inaccettabile di continuare a vivere come sta vivendo ed esige dei cambiamenti, e le classi dominanti constatare che non riescono più a esistere e a governare come avvenuto nel passato, in quanto attraversano una crisi che ne indebolisce verticalmente egemonia e governi. Quello che, dunque, si è sviluppato nel contesto della crisi dell’economia è stato, particolarmente in Italia, un attacco globale alle condizioni di vita popolari, date le grandi difficoltà in cui si sono imbattute le classi dominanti italiane, in perdita ormai storica di capacità di reggere la competizione in Europa e nel mondo. Ma ciò ha allargato la crisi alla politica, alle istituzioni, a tutto: sicché ha richiesto alle classi dominanti di intervenire su tutto, di tendere al rifacimento di tutto, come solo modo per la tutela dei loro interessi, poteri, privilegi.

Quindi quanto sta accadendo oggi in sede politica è molto semplice, in realtà: le forze economiche dominanti italiane (con l’appoggio dei mass-media e con quello di segmenti politici dentro al complesso delle forze politiche, con la sola esclusione di quelle effettivamente di sinistra) si stanno ingegnando, a partire dai luoghi fondamentali del potere economico (sottolineato), nella sperimentazione di un tentativo (appunto Renzi) di consegna all’Italia di un governo più in grado effettivamente di governare la crisi sociale, politica e istituzionale e, ovviamente, il malcontento crescente (e potenzialmente esplosivo) delle classi popolari (naturalmente, sotto il velo retorico dell’interesse nazionale, del lavoro per i giovani, dello spread, del debito pubblico alto,  ecc. ecc.); ovviamente a nome dei loro interessi come classe. In Italia, dunque, a nome della prosecuzione della rapina a danno delle classi popolari, sulla scia, ma in modo nuovo, di quanto già avevano affidato a Monti, portando a casa l’infame legge Fornero sulle pensioni, poi a Letta, vedendo però come attraverso Letta si rischiava una situazione italiana sociale e politica incontrollabile.

Attenzione: si tratta di un tentativo che non si limita al governo Renzi. Esso comporta, infatti, la trasformazione definitiva del PD in partito liberale con qualche residuo di posizioni di sinistra (in tema di diritti civili) e della destra berlusconiana in partito liberale di destra (ripulito cioè delle venature di estrema destra così come dei vari elementi della sua impresentabilità morale: non tanto perché i poteri economici dominanti siano fatti di angioletti, ma perché occorre loro una destra che non faccia problema nella maggioranza della popolazione quanto a eventuali necessità di governi di “unità nazionale”, dunque quanto a credibilità sociale di un sistema politico fondamentalmente bipartitico, con la sinistra definitivamente fuori dai piedi, ecc.). Berlusconi, che tutto è ma non  privo di intelligenza, l’ha capito subito e subito si è conformato. Casini, neanche lui privo di intelligenza, si è subito ricollocato: niente più partito di centro ma nuova alleanza con Berlusconi.

Renzi dichiarò a suo tempo di stare “con Marchionne senza se e senza ma” e che la difficoltà delle confederazioni sindacali a rappresentare precariato, quindi lavoro giovanile, ecc. egli la declina come necessità di una radicale riduzione del ruolo del contratto nazionale a favore della contrattazione aziendale, cioè, concretamente, come demolizione di quel tanto che resta in Italia di potere sindacale, cioè, ancor più concretamente, come trasformazione della CGIL in quella succursale degli interessi capitalistici fondamentali che sono diventate CISL e UIL. Non si tratta di battute magari ripensate, effetto di incompetenza, ecc., ma di elementi di un programma: la trasformazione dell’Italia in un paese nel quale tutto risponda nel modo più efficace, quale che sia il governo, di sinistra liberale o di destra liberale, alle richieste economiche e sociali dei poteri economici fondamentali. Il modello politico, istituzionale e sociale di riferimento, concretamente, sono gli Stati Uniti, salvo qualche copertura cosmetica, d’obbligo in Europa. Sul versante istituzionale si tratta di far fuori definitivamente la sinistra politica, tramite soglie di sbarramento; sul versante sociale, di far fuori il sindacalismo di classe, di passare a una sorta di stato sociale minimo, abbandonando al mercato le prestazioni di qualità. Un tempo il tentativo sarebbe stato apertamente autoritario; oggi la superiore capacità pervasiva e orientativa dei mass-media, il disastro del PD, l’attitudine sistematica della sua sinistra agli autogol, la crisi, da eccesso autolesionista di relazioni della CGIL con il PD, la frammentazione irresponsabile della sinistra, la strada che tutto questo ha aperto a ogni variante immaginabile di populismo di destra o insensato consentono di far finta che tutto avvenga, non semplicemente nel quadro della democrazia e della Costituzione, ma, addirittura, “migliorandole”.

Un’ultima considerazione: Renzi ce la può fare? La determinazione e gli appoggi fortissimi ci sono. Gli ostacoli, a loro volta, sono tantissimi, e della più diversa natura, a partire da quello, fortissimo esso pure, dei vincoli di politica di spesa imposti dall’Unione Europea. Si vedrà. Che cosa verrebbe da un fallimento dipende, inoltre, dalla qualità della risposta popolare: se sarà l’inerzia di questi anni e andrà a beneficio elettorale della cialtroneria populista, se sarà la mobilitazione crescente per un cambiamento di politica economica, anche scontrandosi con l’Unione Europea.

18 febbraio 2014