immagine dal sito de La Repubblica
Dopo oltre 20 anni di attesa, è arrivata alla stretta finale la scelta del sito per la costruzione del deposito destinato allo stoccaggio dei nostri rifiuti atomici. Gli enti tecnici hanno studiato il Paese palmo a palmo, scartando circa il 99% del territorio, e hanno redatto una lista con una decina di opzioni. L’ultima decisione spetta quindi ora al governo. Un passo destinato a scatenare proteste, anche perché la struttura non risolverà il problema dei materiali più pericolosi. Solo la Finlandia ha trovato la soluzione: ha quasi ultimato la costruzione di un enorme bunker sotterraneo che conserverà i residui altamente contaminati per 100.000 anni. Un progetto fantascientifico che abbiamo documentato con le nostre telecamere
di DAVID CHIERCHINI e ANTONIO CIANCIULLO, video MATTEO KEFFER. Con un commento di VALERIO GUALERZI
Novantamila metri cubi di scorie cercano casa
varando un decreto (314/2003) nel quale si
Novantamila metri cubi di scorie cercano casa
di ANTONIO CIANCIULLO
ROMA – Oltre il 99% del territorio italiano è stato scartato in fase di istruttoria, assieme a un’intera regione, la Val d’Aosta. Ora, nella roulette dell’assegnazione del deposito nucleare, la pallina ha cominciato a girare in una zona abbastanza ristretta. Su quale casella si fermerà dopo la selezione finale? Per ora si è allungata la lista delle esclusioni. Dalla mappa dell’Italia sono state tolte lagune, zone protette, miniere, dighe, poligoni di tiro e tutte le aree con una delle seguenti caratteristiche: sismiche; soggette a frane o ad alluvioni; sopra i 700 metri di quota, sotto i 20 metri di quota; a meno di 5 chilometri dal mare; a meno di un chilometro da ferrovie o strade di grande importanza; vicino alle aree urbane; accanto ai fiumi. Alla fine è rimasta qualche decina di aree considerate idonee a ospitare i rifiuti atomici.
Ma quando avverrà la scelta finale? Il 2 gennaio 2015 Sogin (la società pubblica incaricata del decommissioning) ha consegnato a Ispra (l’autorità di controllo ambientale) la proposta di Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito. Il 13 marzo Ispra ha girato la sua relazione ai ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente. Il 16 aprile i due ministeri hanno rimandato la palla a Sogin e Ispra chiedendo approfondimenti tecnici che sono in via di consegna. E in questi giorni, il dossier sul cimitero radioattivo sta completando l’ultima tappa della lunga triangolazione tra Palazzo Chigi, Ispra e Sogin. Il governo si prenderà ora qualche settimana per le valutazioni conclusive: con buona probabilità la lista dei paesi candidati alla costruzione del sito di stoccaggio verrà resa nota ad agosto.
Visto che il momento dell’anno non appare il più propizio ad ospitare il largo dibattito necessario, se ne riparlerà – in assenza di nuovi rinvii – a settembre. Ma in che termini? Negli ultimi mesi le tensioni sono cresciute anche perché il costo della gestione della breve stagione nucleare italiana si è rivelato molto alto. In bolletta per la gestione della partita scorie paghiamo da tempo una cifra che gira attorno ai 250 milioni di euro annui. E per il piano di decommissioning – secondo i calcoli della Sogin – ai 2,6 miliardi di euro spesi dal 2000 ad oggi se ne dovranno aggiungere altri 3,9.
“Non c’è chiarezza su cosa realmente si intende fare e per questo si corre il serio rischio che le popolazioni facciano saltare il banco”, afferma il senatore Cinque Stelle Gianni Girotto. “Sono troppi i punti oscuri. La normativa prevede la definizione di un programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi con la partecipazione del pubblico; prevede la creazione dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, un ente con funzioni di controllo e di vigilanza delle attività nucleari; prevede l’adeguamento della classificazione dei rifiuti radioattivi alle normative internazionali. Ma su nessuna di queste questioni è stata ancora data una risposta soddisfacente”.
Dello stesso parere Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace: “La nomina a direttore dell’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, di Antonio Agostini, una persona non competente in materia è solo l’ultimo atto di una sequenza di errori. La stessa decisione di far dipendere l’Isin dal ministero dell’Ambiente e da quello dello Sviluppo economico crea un problema: il controllore (Isin) dipende dal controllato (il ministero dello Sviluppo economico). E’ una situazione che somiglia più a quella dell’Unione Sovietica di Cernobyl che a una democrazia europea”.
Contestati anche i contenuti del piano: prevede la realizzazione di un deposito nazionale per i rifiuti a bassa e media attività (smettono di essere pericolosi dopo 300 anni) che dovrebbe ospitare “in modo temporaneo” anche i rifiuti ad alta attività (restano pericolosi per centinaia di migliaia di anni). Non è una differenza da poco. Le scorie a bassa e media attività vanno custodite in un deposito di superficie come quello in programma in Italia, le altre in un deposito geologico di profondità (che al momento nessun paese è riuscito a completare), capace di garantire per migliaia di generazioni la sicurezza e la trasmissione dell’informazione sul rischio.
Di fronte a queste preoccupazioni alla Sogin ribattono elencando i vantaggi che derivano dalla creazione del deposito nazionale (1,5 miliardi di euro di investimento compreso il parco tecnologico adiacente, 700 posti di lavoro per la gestione): “E’ una struttura con barriere ingegneristiche e naturali progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondo i più recenti standard Aiea. Le scorie ad alta attività saranno invece stoccate temporaneamente in vista della loro sistemazione definitiva in un deposito geologico profondo”. In tutto dovranno trovare posto circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività (per il 60% prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari e per il 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca) e circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività (compresi circa 1.000 metri cubi di combustibile esausto ritrattato di ritorno da Francia e Gran Bretagna).
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