I soccorsi. Tra urla di gioia emerge la testa di una mamma: «Nella stanza accanto c’è mia figlia, salvatela». Si erano chiusi in cucina, riuscendo ad accendere anche un fuoco. Tra questi anche 4 bambini. I soccorritori sentono altre voci nell’albergo, forse 5 persone

All’improvviso dalle pendici del Gran Sasso si alza un sussulto che scuote lo Stivale. Sono circa le 11.30. «Sono vivi, stiamo operando per tirarli fuori, ma sono vivi». È la prima comunicazione radio, tra vigili del fuoco, con cui viene annunciato che tra le macerie dell’Hotel Rigopiano a Farindola, in provincia di Pescara, ci sono sopravvissuti. «Servono coperte ed elicotteri per portarli via, perché comunque non sono in perfette condizioni».
Poi i numeri, come sempre accade in queste circostanze, si rincorrono, si contraddicono, si accavallano: sono in sei, no otto, di più, no sei, ora dieci, e tra loro 4 bambini. «Sono stati individuati altri superstiti, sì ce ne sono altri. Ci sono chiari segnali…», annuncia il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta che solo poche ore prima aveva evidenziato: «Le speranze sono ormai ridotte. In questo momento mi sento solo di abbracciare i familiari dei dispersi».
Invece dalla trappola bianca – da sotto quella immane valanga che si è staccata dai 2.400 metri del monte Siella e che, scivolando tra i boschi, ha devastato e spostato l’albergo, dentro cui erano più o meno in 35 tra ospiti e personale di servizio – si levano voci, richieste di aiuto. «Forza, scaviamo…». E giù, con maggiore lena, di sicuro rincuorati, a spaccare la barriera di ghiaccio che sovrasta la camera da cui, tra commozione, urla di gioia e applausi, poco dopo spunta la testa castana di una mamma che indica: «Nella stanza accanto c’è mia figlia, salvatela». E poi ancora, uomini, altri bambini: fuori dall’incubo, uno dietro l’altro. Con le loro speranze, e storie, tante, di famiglie alla ricerca di relax e silenzio dei monti; di fidanzati in vacanza, magari un solo week end, in quel pezzetto di paradiso sull’Appennino; di genitori che aspettano i congiunti, di parenti in apprensione, di padri che ritrovano i figli. È così, ad esempio, per Giampiero Parete, di Montesilvano (Pescara), cuoco che era andato a rilassarsi nel resort a 4 stelle e che ha lanciato per primo l’allarme quando la slavina si è abbattuta sulla struttura. L’uomo era uscito per prendere medicinali in auto, al momento del dramma. E si è salvato.
Ora, dai detriti, hanno estratto la moglie Adriana e i figlioletti, Ludovica e Gian Filippo, che riabbraccia. I superstiti, a mano a mano, in condizioni meteo talvolta proibitive, vengono trasportati con gli elicotteri negli ospedali di L’Aquila e Pescara. «Stanno tutti abbastanza bene, a parte l’ipotermia», aggiornano i medici a Pescara, dove è stato creato un mini reparto che accoglierà tutti i sopravvissuti, assistiti da sanitari della Rianimazione e da psicologi.
Ma come sono riusciti a farcela, sepolti per 43 ore, in mezzo a temperature polari? Grazie a «bolle d’aria» che, secondo gli esperti, si sono create nel complesso sventrato; agli abiti indossati, al fatto di non essere a contatto diretto con la neve. E poi «hanno acceso il fuoco – spiegano i soccorritori -… si sentiva puzza e c’era fumo che usciva. L’abbiamo visto. Si trovavano tutti nel vano cucina. Noi – evidenziano – non ci muoviamo a caso. Abbiamo raccolto testimonianze e seguiamo indicazioni e mappe precise».
Non ci sono solo buone notizie, però. Perché al miracolo, alla fortuna, si affianca il ritrovamento di vittime. E mentre si scava, mentre si aprono varchi, perché le persone da cercare sono ancora tante; mentre si combatte contro i mucchi di neve e i muri spaccati e il gelo, mentre si tenta di arginare la catastrofe, la Procura di Pescara ha avviato un’inchiesta, su questa tragedia. Accertamenti affidati a carabinieri e forestali, che stanno acquisendo carte e testimonianze. Tra i documenti, già a verbale l’allerta valanghe emessa giorni fa dal Meteomont, cioè il servizio nazionale prevenzione neve e valanghe, che indicava livello 4, il massimo è 5, di pericolo nella zona del Gran Sasso. C’erano tre metri di neve, accatastata nei giorni precedenti, anche a causa del vento, e il terreno, indebolito dalle piogge, ha ceduto trascinandosi dietro rocce e detriti.
«Una violenza inaudita». Così l’albergo è stato spazzato via. C’erano le condizioni per far emettere dalla Regione, fino agli enti locali, le ordinanze di evacuazione? Ci sono state negligenze o colpe in relazione alla morte degli ospiti e del personale dell’hotel? I ritardi nei soccorsi potevano essere evitati? Perché non sono arrivati gli spartineve e i mezzi meccanici richiesti dalla proprietà del complesso turistico ricettivo?
Ma i dubbi, in queste ore, sono anche altri. Osservando le immagini orografiche della zona, si può notare come l’albergo sia sorto a valle di un canalone che si restringe pericolosamente proprio in prossimità della struttura. «In questa situazione – evidenziano i geologi – un’eventuale slavina diventa devastante perché aumenta di energia e velocità, proprio a ridosso dello stabile».
In quel posto – è l’accusa – «non si doveva costruire». E il passato del Rigopiano è segnato da un processo per corruzione, che si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati «perché il fatto non sussiste». Era stato il pm di Pescara, Gennaro Varone, nel 2008, ad aprire un’inchiesta ipotizzando mazzette e posti di lavoro in cambio, in Comune, di un voto favorevole per sanare l’occupazione abusiva di suolo pubblico, relativamente all’ampliamento della struttura, che in origine era un vecchio casolare.
fonte: Il Manifesto
http://ilmanifesto.info/dieci-superstiti-recuperati-dalle-macerie-dellhotel-rigopiano/