Il giornalista preso a manganellate, che rimase14 ore in coma per le botte, ha incontrato gli allievi del Pertini
di GIULIA DESTEFANIS
Una mattina di riflessione, dal tema “Forze di polizia e diritti umani in Italia”, organizzata da Amnesty International con la responsabile ligure per l’educazione ai diritti umani Emanuela Massa. Non è l’unico istituto che stanno visitando, insieme all’ispettore capo Orlando Botti che da poliziotto pensionato racconta la sua visione critica del corpo: ma qui al liceo Pertini, tra quelle stesse mura, è diverso, e Covell si commuove. «E’ giusto così. Vedendomi, spero che i ragazzi capiscano il valore dei diritti umani. Quella notte io li ho persi, mi furono completamente negati dallo Stato e dalla polizia italiana».
Inizia il racconto: 21 luglio 2001, oltre 300 agenti con il supporto dei carabinieri fanno irruzione nella scuola dove dormono gli attivisti, davanti alla sede del Genoa Social Forum. «Io sono una delle 93 persone che si trovavano alla Diaz — racconta Covell — Vedendo arrivare le camionette ho provato a raggiungere il mio computer nell’edificio davanti per scrivere quello che stava accadendo. Ma i poliziotti mi hanno fermato in strada e mi hanno aggredito per tre volte; mi hanno fratturato la mano sinistra e otto costole, che hanno perforato un polmone; per i calci sul volto ho perso 16 denti». Gli studenti lo fissano in silenzio, con il preside Alessandro Cavanna. «Pensai: sto per morire». Mostra i video del blitz. Poi racconta gli anni successivi, «lo stress post traumatico, due esaurimenti nervosi». Oggi vive a Londra con la fidanzata Laura conosciuta a Genova, non fa più il giornalista: «Lavoro in un negozio, faccio una vita semplice, ho bisogno di normalità».
G8 di Genova, una delle vittime torna alla Diaz dopo 16 anni: “I ragazzi devono sapere”
Una ragazza chiede come reagirebbe se uno degli agenti che lo hanno picchiato andasse a scusarsi. «Gli chiederei di fare i nomi degli altri». Perché i processi hanno condannato 25 persone per la Diaz (e 40 per i fatti della caserma di Bolzaneto), ma «per il mio pestaggio fuori dalla scuola non è stato identificato, e dunque condannato, nessuno».
«Sono stato io l’unico poliziotto a scusarmi
con Mark — dice Botti — Mi vengono i brividi a stare qui. Queste tragedie devono essere ricordate». Per garantire che «le forze di polizia siano uno strumento di tutela dei diritti, non il braccio armato dei governi», aggiunge Massa ricordando la necessità di una legge sulla tortura. «Parlare dei fatti di Genova — conclude Covell — significa difendere i diritti umani: che sono minacciati ogni giorno, anche in Occidente, anche qui».