Di che cosa parlare, ad esempio

L’Espresso – La Repubblica

Carissimi Giuliano Pisapia, Pier Luigi Bersani, Nicola Fratoianni, Pippo Civati, Maurizio Acerbo, Anna Falcone e Tomaso Montanari, come sapete, ieri il Censis ci ha detto che sono più di 12 milioni le persone che in Italia, nell’ultimo anno, hanno rinunciato o rinviato le cure mediche di cui avevano bisogno: 1,2 milioni in più rispetto a quello precedente.

Sono 7,8 milioni invece le persone che si sono curate ma dando fondo a tutti i propri risparmi o addirittura indebitandosi: con le banche, con amici o parenti, quando va peggio con i cravattari.

Oltre che per motivi economici, la rinuncia alle cure avviene per i tempi di attesa sempre più lunghi: 122 giorni per una mammografia, 93 per una colonscopia, 80 per una risonanza magnetica. Ovviamente, se invece lo si fa con la sanità privata, si ottiene tutto subito.

Non parliamo poi della cura dei denti, diventata un lusso di chi non è stato ingoiato nelle fasce sociali sommerse: secondo l’Istat ormai il 36 per cento degli italiani rinuncia ad andare dal dentista per via dei costi eccessivi…per continuare a leggere cliccare:

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/06/08/di-che-cosa-parlare-ad-esempio/

Nicola Fratoianni da seguito all’articolo e scrive:

Ha ragione da vendere Alessandro Gilioli in questo articolo. Come sapete, sono un tifoso della tesi: “Parliamo di cose concrete, invece che di formule astratte”.

E i 12 milioni di italiani che non possono curarsi sono dannatamente concreti.
Si riparta da qui, considerando che la condizione economica delle persone è un determinante di salute fondamentale. Meno soldi hai a disposizione, più ti ammali, meno puoi curarti.

E il dato più allarmante è che la mancanza di accesso alle cure non riguarda più solo chi un lavoro non ce l’ha ed è quindi in condizione di povertà assoluta (che in Italia sono circa 4 milioni o poco più).

Riguarda pure chi ha un lavoro, chi ha una occupazione o chi è pensionato, perché i salari sono sempre più bassi e i contratti sempre più precari.

Un po’ come la famosa scatola di cioccolatini di Forrest Gump, “Non sai mai quello che ti capita”.

Il tema è gigantesco e non permette semplificazioni. Ma si parte da un principio semplice: dobbiamo garantire a tutti e tutte il diritto alle cure, come sancito dalla Costituzione. Per farlo serve una rivoluzione basata su nuovo welfare, diversi modelli organizzativi in sanità e infine lotta alla corruzione. Perché sappiamo che appalti ed esternalizzazioni stimolano appetiti opachi e fanno aumentare la spesa e lo sperpero di risorse.

Per invertire la rotta, dobbiamo prima di tutto recuperare tutti i finanziamenti tagliati negli anni scorsi alla sanità pubblica. Tagli che invece di produrre risparmi hanno generato una riduzione degli standard dei servizi e la crescita della sanità privata, delle mutue professionali, o delle assicurazioni private (a proposito, in molti si preparano al business in stile USA…). E chi non può permettersele? Ecco, finisce ad ingrossare il dato dei 12 milioni che non si curano.

In questo quadro devastante, si aggiunge la situazione terribile del Mezzogiorno, in cui le condizioni sono persino peggiori, per via della debolezza storica del sistema sanitario nazionale, e a causa della più alta percentuale di povertà e disoccupazione.
Per questo la nostra proposta concreta è quella di ripartire il fondo sanitario nazionale tra le regioni tenendo conto delle condizioni economiche e sociali delle stesse. Basterebbe applicare l’indice di deprivazione socio-economica di Caranci, per ricominciare a riequilibrare i fondi che vengono distribuiti.

E poi, ancora, il Decreto Ministeriale 70 da rivedere profondamente, i fondi per i farmaci salva-vita, aumentare il numero di medici e infermieri nel sistema pubblico (siamo fra i paesi a più basso numero di medici e infermieri in Europa e abbiamo pure ricevuto un monito a riguardo). E molto altro.

Facciamo una grande battaglia civile nel paese: promuoviamo dibattito, iniziativa, mobilitazione. È proprio della vita di tutti che stiamo parlando.