Maurizio Landini su Il Manifesto del 24/2/13: Nella campagna elettorale tutti hanno fatto appello alla democrazia, alla sua difesa. In molti hanno scelto di schierare esplicitamente organizzazioni sociali e culturali per questo o quel partito, per questo o quel leader: noi no. La Fiom-Cgil ha voluto essere parte attiva nella campagna elettorale a partire dalla propria indipendenza fin dal 9 giugno dello scorso anno, quando abbiamo invitato il centro sinistra ad un confronto su quelli che per i metalmeccanici sono ancora oggi i nodi cruciali.
I punti su cui abbiamo chiesto a Bersani, Di Pietro, Diliberto, Ferrero e Vendola di esprimersi non avevano un carattere corporativo, non la difesa del particolare a discapito della condizione generale del Paese: ma la centralità del lavoro per la piena cittadinanza.
In piena campagna elettorale, mentre ai metalmeccanici si chiedeva un voto per questo o quel candidato, si è impedito agli operai e agli impiegati di poter decidere sul proprio contratto nazionale con un voto che lo approvasse o lo respingesse.
Mentre in tv non c’è stato un solo programma televisivo in cui non ci fosse un dibattito elettorale, alla Fiom-Cgil hanno cancellato il diritto a tenere le assemblee. Nelle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche, alla Fiom-Cgil è stata impedita la possibilità di eleggerli in proporzione rispetto ai voti presi. Accade che anche dove la Fiom – Cgil raggiungeva il 70% dei consensi le aziende riconoscessero meno del 50% della rappresentanza. Domando: se il sistema elettorale con cui voteremo si è stato definito porcellum, quello che “regola” il voto negli stabilimenti come dovremmo chiamarlo?
La democrazia è attaccata da chi dovrebbe difenderla istituzionalmente: il presidente del consiglio in carica ha aperto la propria campagna elettorale in uno stabilimento della Fiat dove, a tre delegati della Fiom-Cgil, è impedito di poter lavorare nonostante le sentenze dei tribunali abbiano condannato la direzione aziendale. Dov’è la democrazia se al più grande gruppo industriale privato italiano si permette con l’art. 8 di violare lo Statuto dei Lavoratori e la Costituzione, e dov’è la democrazia se a chi lavora, col ricatto del licenziamento, si toglie la libertà di poter contrattare alla pari con l’impresa. La democrazia è un esercizio concreto, quotidiano del rispetto delle leggi. Invece assistiamo ad una intera classe dirigente nazionale che le viola.
In questi anni di austerity si è chiesto ai lavoratori dipendenti, ai giovani e ai pensionati di pagare il conto di un debito che hanno fatto altri. La crisi è usata dalle classi dirigenti per cancellare le leggi che hanno reso il lavoro e la vita delle persone dignitosi; giorno dopo giorno, ad uno ad uno scopriamo che i “coraggiosi” capitani d’impresa hanno avvelenato intere città, pagato tangenti, messo in pericolo la vita stessa dei lavoratori, cancellato diritti inalienabili, discriminato. Avidità, potere, profitti e prestigio sono stati i valori etici e morali di chi allo stesso tempo esigeva la cancellazione dell’art. 18, la produttività a scapito dei lavoratori e tutto questo è potuto accadere per complicità esplicite ed implicite del sistema politico italiano.
Le politiche di questi anni passati hanno lasciato al mercato il ruolo di “regolatore” di tutto. Risultato? Aumento della disoccupazione, crescita della precarietà e abbassamento dei salari, elementi che nella storia europea hanno fatto nascere sistemi totalitari e provocato guerre. La storia ci ha insegnato che la democrazia c’è quando le persone sono libere dal ricatto e dalla miseria ed è compito delle istituzioni garantire che questo accada, ma non è stato così né con i governi Berlusconi, né con Monti. Mentre in Italia si defiscalizza lo straordinario, negli Stati uniti si aumenta di 1,5 dollari il salario base, mentre in Francia si difende l’occupazione negli stabilimenti dell’auto, in Italia non si chiede neanche un piano industriale, mentre in Cina i lavoratori, dopo durissimi scontri, alla Foxconn potranno votare i loro rappresentanti, in Italia è impedito. Sono solo alcuni temi di una discussione che abbiamo voluto evocare in questa campagna elettorale e in parte ci siamo riusciti.
Con queste elezioni vorrei che la politica tornasse a svolgere il proprio ruolo di garante della nostra Costituzione, a partire dalla libertà di ciascun lavoratore di poter votare liberamente il proprio contratto e i propri rappresentanti. Bisogna aprire subito tavoli nazionali sulle maggiori crisi industriali del paese (per esempio siderurgia e mobilità di persone e merci), intervenire con una legge sui salari (perché i minimi stabiliti nei contratti nazionali non possano essere derogati), salvaguardare l’occupazione riducendo l’orario di lavoro, dare un reddito di cittadinanza come in una parte importante dell’Europa. La Fiom Cgil si è confrontata alla pari con tutte le forze politiche del centro sinistra entrando nel merito delle politiche industriali e sociali.
I metalmeccanici voteranno con la propria testa ed il giorno dopo le elezioni la Fiom-Cgil chiederà a tutti i parlamentari, eletti democraticamente dal popolo italiano, che la democrazia rientri nelle fabbriche. Il tempo delle attese è già finito.