Contro Napolitano

Dieci uomini anziani, bianchi, cristiani, probabilmente eterosessuali, non vicini al MoVimento 5 Stelle e “saggi” salveranno l’Italia dallo stallo, secondo Napolitano. Anzitutto vorrei capire esattamente cosa hanno di saggio questi maschietti agée della Seconda Repubblica (fra loro quel Gaetano Quagliariello indimenticato sostenitore in Parlamento dell’urlo: “Eluana [Englaro] non è morta, Eluana è stata ammazzata!“), selezionati con un accurato manuale Cencelli. Poi vorrei capire perché in Italia il Parlamento non è più libero di votare a favore o contro di un governo che cerca di insediarsi oppure che cerca di confermare la fiducia. E’ possibile vedere in filigrana la strategia politica del nostro Presidente: primo, guadagnare tempo. Secondo, evitare o per lo meno procrastinare il più avanti possibile il confronto parlamentare. Al fine di guadagnare altro tempo. Lo aveva già fatto all’epoca della fuoriuscita di Gianfranco Fini e dei suoi uomini dal governo e dalla maggioranza berlusconiana (15 novembre 2010), consentendo a Berlusconi di andare al voto di fiducia dopo un mese (14 dicembre 2010) anziché subito. Ricorderete l’effetto politico di quella decisione: quei trenta giorni furono determinanti per Berlusconi per fare shopping fra i parlamentari che avevano seguito Fini, e alla fine il governo Berlusconi rimase in sella vincendo il voto di fiducia. Nel novembre dell’anno dopo, quando l’esperienza del governo Berlusconi era giunta al termine per le condizioni che si erano create dentro e fuori il Parlamento, Napolitano si inventò l’idea del governo di decantazione affidato ai tecnici, anziché ancora una volta lasciare che il Parlamento sfiduciasse il governo e portare il paese alle elezioni. Adesso, è la volta dei 10 “saggi” in due commissioni di lavoro, antica pratica assai comune nel vecchio Pci togliattiano quando si trattava di spegnere una miccia interna, anziché procedere con la nomina a chi ha vinto, seppur male e di poco, le elezioni. Tutto ciò per guadagnare, ancora una volta, tempo. Ma che diamine, non è così che funziona una democrazia parlamentare. I fatti, nel nostro sistema, dovrebbero accadere anzitutto dentro le aule parlamentari, non dentro la testa del nostro Presidente della Repubblica. A Bersani spettava un incarico, che ha avuto, e una nomina giuridica a Presidente del Consiglio, che è mancata per precisa volontà di Napolitano. “Non ci sono i numeri“, avrebbe detto il Presidente della Repubblica. E chi lo ha deciso, che non ci sono, dal momento che si è impedito di andare a contarli in aula? Si è dato per scontato che senatori e deputati avrebbero votato secondo le direttive dei loro capigruppo. Ma la Costituzione stabilisce diversamente: i tanto vituperati articoli 67 e 68. Bersani è il capo della coalizione che ha vinto le elezioni, per quanto le abbia vinte male e senza una maggioranza al Senato. Bersani aveva il dovere e il diritto di andare in Senato, leggere il suo discorso programmatico e chiedere all’aula di bocciarlo o promuoverlo. Perché si è impedito questo passaggio parlamentare? Paura dei mercati? E pazienza, era un passaggio dovuto per una democrazia parlamentare. Solo dopo che Bersani avesse fallito, la palla sarebbe dovuta tornare nelle mani di Napolitano. Che avrebbe potuto decidere per un governo istituzionale, affidando la nomina a uno dei due Presidenti delle Camere, che da quando sono stati eletti, rappresentano la nazione tutta ancor meglio di quanto già non facessero da semplici parlamentari. Si poteva scegliere Laura Boldrini, di certo meno invisa di Pietro Grasso al M5S, che avrebbe probabilmente proposto un governo dove intanto la parità di genere sarebbe stata rispettata. E che avrebbe potuto mettere sul tavolo pochi e precisi punti presi dal programma del M5S e del Pd. E se per caso anche il governo istituzionale non avesse avuto i voti al Senato, si sarebbe andati a eleggere un nuovo Presidente della Repubblica e poi saremmo tornati al voto: certo non lo scenario migliore, ma almeno nessuno avrebbe tolto al Parlamento la sua centralità. Così invece ci troviamo in un sistema presidenziale de facto, e il Presidente della Repubblica lavora alacremente per costringere il Pd a sostenere un governo col Pdl e la Lega. Spero che il Pd abbia la forza di sottrarsi a questo disegno sbagliato, ma temo che le cose andranno diversamente.

Sciltian Gastaldi | 31 marzo 2013 su www.ilfattoquotidiano.it