Condivisione on line: terza rivoluzione industriale?

Chiamatela sharing economy, economia della condivisione o “gig economy”, come dicono gli americani. Gli entusiasti dei beni messi in comune ne sottolineano l’etica “socialista”. Ma c’è chi teme che l’approdo finale sia il liberismo e la nascita di nuovi monopoli. In ogni caso siamo all’inizio della terza rivoluzione industriale. Al fenomeno si ascrivono cose troppo diverse tra loro: giganti come Airbnb (che in Italia dal 2008 ha fatto soggiornare 2,7 milioni di viaggiatori) e la signora Maria che cucina una porzione di pasta in più e la offre su MamaU o Cucinaecondividi. Vero è che una cosa in comune ce l’hanno: il bisogno di un orizzonte più vasto. Nella logica della sharing economy c’è il consumo consapevole, basato su riutilizzo invece che acquisto, accesso invece che proprietà. Il principio? Si vive bene anche senza possedere, anzi: possedere può diminuire la qualità della vita. Dietro la condivisione c’è voglia di un nuovo modello economico, capace di suscitare passione. L’economia della condivisione in realtà è divisiva, perché incarna opposti. Evoca l’etica del condividere e il liberismo più sfrenato; la fine della proprietà privata e la creazione di moloch monopolistici; rende ciascuno micro-imprenditore di se stesso, capace di far fruttare al meglio i suoi talenti e risorse (auto, oggetti, casa), ma può anche farci tutti più poveri e insicuri.

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