di Luigi Vinci
Ricordare come gli Stati Uniti operarono, attraverso la Presidenza Roosevelt, di fronte alla crisi del 1929 può forse aiutare perché, con le attuali sue politiche economiche e di bilancio, l’Unione Europea non riesca a uscirne, l’Italia ancor meno, strombazzature renziano-giornalistiche a parte, la Grecia abbia ragione anche economicamente, non solo a nome dell’uscita da una gravissima emergenza sociale. Può forse aiutare a capire, quindi, come solo attraverso il miglioramento delle condizioni di vita popolari e un intervento pubblico molto ampio e molto determinato nell’economia sia possibile bloccare recessione e deflazione e avviare una ripresa dell’economia che è vera, in quanto è anche ripresa vera dell’occupazione, e di un’occupazione ben pagata, stabile, difesa dallo stato, accompagnata da servizi sociali gratuiti, rispettata dai padroni.
Prima di entrare in argomento rammento come negli Stati Uniti di allora esistessero solo frammenti o rudimenti di un sistema pensionistico e di servizi sociali alla popolazione.
Il 29 ottobre del 1929 (giorno che passerà alla storia come il “giovedì nero”) il crollo alla borsa valori di New York dei titoli di una serie di grandi gruppi economici, forse determinato dal timore di rialzi dei dazi sulle importazioni da parte dell’amministrazione guidata dal repubblicano Herbert Hoover, generò un’ondata di panico, cui seguirono il ritiro da parte dei risparmiatori del loro denaro, la crisi del sistema bancario, la riduzione del credito alle imprese industriali, la caduta della domanda. L’amministrazione passò a misure protezionistiche e alla sospensione dei crediti verso l’estero, e per il resto si affidò ai poteri miracolosi del mercato indicati dalla teoria economica neoclassica ergo liberista: ciò che ovviamente non servì a fermare la recessione, né a impedire che essa si facesse deflazione, tanto più che dall’estero non era possibile alcun aiuto, poiché la Germania non era ancora riuscita a venir fuori dalla situazione economica e sociale disastrosa provocata dalla guerra e dai risarcimenti impostile dai paesi vincitori, e il resto del mondo industrializzato era entrato esso pure in recessione, trascinato proprio dalla crisi statunitense. Nell’arco temporale di un paio di anni fallirono perciò negli Stati Uniti la maggior parte della banche, la produzione industriale crollò per il 54% e ne crollarono i prezzi, i prezzi agricoli caddero per il 60%, i disoccupati passarono da 3 milioni a 13 milioni.
Nel marzo del 1933, eletto dalla maggioranza larghissima dei votanti, il democratico Franklin Delano Roosevelt assumeva la Presidenza degli Stati Uniti. I primissimi provvedimenti del suo New Deal (Nuovo Patto) consistettero nell’abbandono dell’obiettivo del pareggio di bilancio, nell’abolizione del proibizionismo (eliminando così il mercato nero degli alcoolici), nell’assunzione del controllo diretto delle banche da parte dello stato e nella possibilità di operare solo da parte di quelle solvibili, parimenti nel taglio della spesa pubblica improduttiva e dei suoi sprechi, nel taglio degli stipendi pubblici elevati, delle pensioni dei magistrati, delle indennità parlamentari, dei benefici ai reduci della Prima Guerra Mondiale non invalidi, allo scopo della concentrazione dello sforzo finanziario dello stato sulle misure di rilancio dell’economia. Progressivamente verranno aumentate le aliquote fiscali relative ai redditi più alti, giungendo, dopo due passaggi, al 79% (non è un errore di battitura: si tratta effettivamente del settantanove per cento). Poterono così seguire grazie a tutto questo provvedimenti fondamentali quali l’Agricultural Adjustment Act, orientato a far risalire i prezzi dei prodotti agricoli e comprensivo di sussidi agli agricoltori impegnati nella riduzione della loro produzione o a non metterla sul mercato (ciò che in due anni porterà al raddoppio della quota agricola del reddito nazionale); il Civilian Conservation Corps, che diede lavoro a 3 milioni di giovani disoccupati, impegnandoli in lavori di silvicoltura, rimboschimento e tutela delle risorse naturali; il Civil Works Administration, che diede lavoro ad altri 4 milioni di disoccupati, impegnandoli nella costruzione o nel miglioramento di strade, aeroporti, scuole, fognature, campi da gioco; la famosa Tennessee Valley Authority, che costruì dighe e centrali idroelettriche lungo il bacino di questo fiume e che, fornendo l’elettricità alle campagne, contribuì essa pure all’elevazione delle condizioni materiale dei contadini. Altri provvedimenti fondamentali, affidati a specifiche agenzie statali, impedirono alle banche commerciali di operare nel settore finanziario, stabilirono il controllo sulle operazioni di borsa, impedirono la cessione di azioni a meno del pagamento immediato di almeno il 55% del valore delle transazioni da parte degli acquirenti, impedirono che i privati possedessero più di 100 dollari in oro e imposero che la quantità eventualmente eccedente fosse venduta allo stato (ciò che consentì il deprezzamento del dollaro e quindi favorì le esportazioni statunitensi), affermarono la copertura da parte dello stato fino a 5 mila dollari dei depositi dei risparmiatori. Altri provvedimenti finanziarono la costruzione di abitazioni o il loro miglioramento, crearono un sistema pensionistico a copertura delle categorie di lavoratori più svantaggiate, fissarono minimi salariali (favorendo così il rialzo dei prezzi della produzione industriale), crearono sussidi per i disoccupati, resero gratuiti i servizi sociali. Merita infine di essere menzionato il National Industrial Recovery Act, che consentì allo stato di intervenire sui prezzi delle merci e di imporre alla concorrenza condizioni “leali”, e che favorì la sindacalizzazione dei lavoratori e garantì l’esercizio della contrattazione collettiva tra le loro organizzazioni sindacali e le organizzazioni imprenditoriali.
Nel 1937 questo sforzo gigantesco orientato alla ripresa dell’economia e al miglioramento delle condizioni di vita popolari tenderà a esaurirsi, avendo realizzato gran parte dei risultati e trasmettendo il compito della crescita economica al riarmo. Venti di guerra avevano infatti cominciato a soffiare in Europa e in Asia.
Tra le tanti discussioni iperproblematiche avviate dall’antikeynesismo politico, accademico e giornalistico ci sta se effettivamente il New Deal rooseveltiano, palesemente contiguo alle posizioni keynesiane, abbia effettivamente contribuito a portare gli Stati Uniti fuori dalla crisi. Chissà perché avrebbe dovuto essere il fattore conclusivo, cioè non potesse essere accompagnato e in parte sostituito da un altro fattore, determinato dalle circostanze della realtà mondiale. Va da sé che la polemica antikeynesiana muove dall’insopportabilità di classe grande-borghese dinanzi a ogni politica economica che concepisca l’uscita dalle crisi come veramente compiuta solo quando porti non solo crescita economica ma anche tutela e nuova crescita delle condizioni di vita popolari, colpite più o meno pesantemente nel corso iniziale della crisi, tramite una distribuzione del reddito sociale a favore delle classi popolari anche attraverso una fiscalità progressiva e l’abolizione della speculazione finanziaria.
31 gennaio 2015