Cinecittà, ultimo ciak: tanti licenziamenti

La protesta . I lavoratori verso la cassa integrazione e la mobilità: “Ci lasciano a casa, e stravolgono la storia degli studios”. Il progetto di rilancio di Abete non include i vecchi dipendenti. Appello al ministro dei Beni culturali Franceschini

La protesta dei lavoratori negli studi di Cinecittà: chiedono di incontrare la proprietà e il governo – foto dal sito de il ManifestoAll’ingresso di via Lamaro, subito prima della guar­diola dei sor­ve­glianti, c’è un len­zuolo bianco che spiega tutto. «La realtà di Cine­città stu­dios: 38 lavo­ra­tori svi­luppo e stampa in cassa inte­gra­zione e pros­simi al licen­zia­mento, 50 digi­tale e audio affit­tati, messi in liqui­da­zione, a breve cas­sain­te­grati e licen­ziati, 110 lavo­ra­tori pro­du­zione in con­tratto di soli­da­rietà. È que­sto il rilancio?».

Ban­diere della Cgil e dell’Ugl, carez­zate dal ponen­tino, sven­to­lano e si intrec­ciano in una gior­nata di fine mag­gio, sem­bra quasi estate. Augu­sta Galeotta, Rsu Slc Cgil, sta scio­pe­rando con altri col­le­ghi che rischiano il posto di lavoro nelle pie­ghe dell’ennesima spe­cu­la­zione edi­li­zia. Sono tor­nati da un incon­tro con il mini­stro Dario Fran­ce­schini. Fumata nera: il pro­prie­ta­rio Luigi Abete punta sull’intrattenimento.

La scena seguente si svolge den­tro Cine­città. Augu­sta Galeotta impu­gna il mega­fono, intorno la magia degli stu­dios e i volti tesi di lavo­ra­tori qua­li­fi­cati che rischiano di per­dere tutto. Altri len­zuoli bian­chi, que­sta volta per sfo­garsi: «Abete, Della Valle, fuori dalle palle». «Cine­città non si tocca, la difen­de­remo con la lotta». Una decina di giorni prima due lavo­ra­tori si erano arram­pi­cati su una torre con uno stri­scione: «Aspet­tando Fran­ce­schini». Godot è arri­vato, ma i pro­blemi sono rimasti.

Di più: i lavo­ra­tori stanno subendo auten­ti­che pro­vo­ca­zioni. Il badge di molti è stato disa­bi­li­tato da un giorno all’altro, per loro can­celli chiusi. L’azienda li ha messi in ferie, for­zate, e la comu­ni­ca­zione è arri­vata con una rac­co­man­data. Ma non tutti ave­vano qual­cuno a casa per rice­verla. Così viene letta quella che una mamma inter­nauta ha inviato al figlio su wha­tsapp: «Dice che è in ferie da dieci giorni prima che arri­vasse la comu­ni­ca­zione uffi­ciale». C’è chi sco­pre di pos­se­dere una villa che si affac­cia sul Colos­seo, e chi invece viene a sapere di avere pas­sato le ferie sul posto di lavoro.

Subito i sin­da­ca­li­sti si danno da fare per rispe­dire al mit­tente lo sgarbo. Intanto si sco­pre che a un altro dipen­dente è stata reca­pi­tata la stessa rac­co­man­data, la moglie la sta inviando con una e-mail. A occhio, l’hanno rice­vuta tutti. Un urlo libe­ra­to­rio rompe il silen­zio di una situa­zione sur­reale: «Abete dacci i soldi nostri». Dalle chiome un po’ imbian­cate si vede che i lavo­ra­tori in lotta non sono di primo pelo, l’età media non è di venti, e nem­meno trent’anni. C’è chi ha lavo­rato fianco a fianco con Tor­na­tore e Moni­celli. Rischiano di diven­tare pro­fes­sio­na­lità spre­cate, dif­fi­cili da ricon­ver­tire. Tra di loro c’è anche chi, iro­nia della sorte, ha lasciato con­su­lenze ben pagate come fonico o gra­fico, per un posto fisso a Cinecittà.

«Dopo lo scio­pero, tutti ai nostri posti di lavoro», detta la linea Augu­sta. «Ma alle 16 devo accom­pa­gnare mia moglie — replica uno — a fare l’ecografia». Assente giu­sti­fi­cato. La vita con­ti­nua, ed è mera­vi­gliosa, nono­stante le ansie cemen­ti­fi­ca­trici di Abete & co. Un lavo­ra­tore indossa una maglietta nera con i pugni chiusi e la scritta «Libe­riamo Cine­città». Non ci stanno a farsi da parte. Tre com­parse e un dop­pia­tore arri­vano a por­tare solidarietà.

Il ciak della pros­sima scena è den­tro un per­corso straor­di­na­rio, dove incon­tri Anna Magnani, Mastro­ianni, Totò, Edoardo De Filippo. Non si può che voler bene a que­sti studi. Il pas­sag­gio den­tro il som­mer­gi­bile ti fa sen­tire la pro­ta­go­ni­sta di un film. Ma pur­troppo quello che sta suc­ce­dendo oggi è tutto vero. Eppure nel dicem­bre 2012, dopo tre mesi di scio­peri e occu­pa­zioni, i sin­da­cati e l’azienda fir­ma­rono un accordo al Mini­stero dei Beni culturali.

I lavo­ra­tori evi­ta­rono i licen­zia­menti siglando 90 con­tratti di soli­da­rietà, Abete e soci riu­sci­rono a otte­nere lo spac­chet­ta­mento degli addetti in tre società e, suc­ces­si­va­mente, varie age­vo­la­zioni dal mini­stero. Intanto, con il tax cre­dit, grandi pro­du­zioni come Ben Hur e Dia­bo­lik hanno rico­min­ciato a inve­stire a Cine­città. Ma la situa­zione non è migliorata.

Nel 1997 Abete e soci pre­sero un’azienda che fat­tu­rava 44 miliardi di lire, aveva all’attivo 61 film e con­tava 365 lavo­ra­tori, di cui 265 a tempo inde­ter­mi­nato. Oggi il fat­tu­rato è sceso a 7,5 milioni, i film all’attivo sono 12 e i lavo­ra­tori 185, di cui 108 in soli­da­rietà, 38 in cassa inte­gra­zione e 39 affit­tati ad altre società. Errare è umano, per­se­ve­rare dia­bo­lico. Un pezzo di sto­ria ita­liana, lo sce­na­rio dei film di Fel­lini, Scor­sese, Cop­pola, di 47 premi Oscar, rischia di essere sep­pel­lito sotto 400 mila metri cubi di alber­ghi e par­cheggi. Inferno di cemento.

fonte: il Manifesto

http://ilmanifesto.info/cinecitta-ultimo-ciak-tanti-licenziamenti/