Ci lascia il maestro Ettore Scola

immagine tratta da La Repubblica

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di Chiara Ugolini

È morto Ettore Scola, addio al maestro del cinema italiano

Il grande regista aveva 84 anni. Con i suoi capolavori, da “C’eravamo tanti amati” a “Una giornata particolare” a “La terrazza”, ha raccontato l’Italia

Si intitola Ridendo e scherzando il film con cui Ettore Scola ha detto addio al cinema e al suo pubblico. Un documentario con cui le sue figlie, Paola e Silvia, lo hanno restituito nella sua complessità di regista, artista e padre. E ridendo e scherzando il regista, morto oggi all’età di 84 anni nel reparto di cardiochirurgia del Policlinico di Roma, ha attraversato più di cinquant’anni di cinema e storia italiana. Con lui se ne va l’ultimo grande maestro della commedia italiana. Con il suo cinema ha raccontato l’Italia che si riscattava dal fascismo e cercava di dimenticare la guerra, con un linguaggio profondo ma lieve ha saputo tratteggiare tutti i tipi di italiani, dagli intellettuali di sinistra che si davano convegno sulle “terrazze” ai commercianti in competizione sleale, ha dato voce al radiocronista licenziato e mandato al confino perché omosessuale e alla casalinga schiacciata dalla prepotenza del marito fascista, i genitori che passavano la notte davanti alle scuole e i militanti comunisti in crisi di identità e di fedeltà. Una carriera e una vita nel segno dell’impegno civile, politico e sociale che lo portò tra l’altro a far parte del governo ombra del Partito Comunista Italiano, nel 1989, con la delega ai Beni Culturali.

Il Marc’Aurelio e i suoi scarabocchi. Nato a Trevico (Avellino) il 10 maggio 1931, Ettore si trasferì a Roma con la famiglia da bambino. Già quindicenne la sua passione per il disegno iniziata a cinque anni lo portò nella redazione della rivista umoristicaMarc’Aurelio dove collaborava un giovane artista, di dieci anni più grande, Federico Fellini. Con quelli che poi lui chiamerà “scarabocchi”, vignette, bozzetti che lo accompagneranno sempre, riuscì a trovare il suo spazio in un ambiente di grande fermento culturale. Finito il liceo classico Pio Albertelli il giovane Scola si iscrisse a Giurisprudenza. Ma il suo destino non era nel mondo dei tribunali.

Parole, parole, parole e poi il cinema. Fin dagli anni Quaranta Scola collaborò a trasmissioni e varietà per la radio e la neonata televisione, ma già a metà degli anni Cinquanta il cinema finì per prendere il sopravvento prima come sceneggiatore collaborando con Age e Scarpelli, per film come Un americano a Roma (1954), La grande Guerra (1959) e Crimen (1960) e poi con il passaggio dietro la macchina da presa. L’esordio alla regia è del 1964 con il film Se permette parliamo di donne scritto con l’amico Ruggero Maccari e interpretato da Vittorio Gassman, che insieme a Nino Manfredi e Marcello Mastroianni sarà uno degli attori preferiti da Scola.

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Il successo con Sordi… in Africa. Il primo vero successo popolare Scola lo ottenne con la commedia amara Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? con Alberto Sordi, Nino Manfredi, Bernard Blier, una critica all’arroganza degli italiani benestanti nei confronti del Terzo Mondo. Il film fu il campione di incassi della stagione ’68-’69 e gettò le basi per una collaborazione con Sordi che sarebbe poi durata altri tre film, La più bella serata della mia vita (1972), alcuni episodi del film collettivo I nuovi mostri (1977) e Romanzo di un giovane povero (1995).

Negli anni Settanta, “Ci eravamo tanto amati”. Con Il commissario Pepe (1969) eDramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970) Scola entrò nel decennio più significativo della sua carriera. Nel 1974 realizzò C’eravamo tanto amati, film che ripercorre trent’anni di storia italiana dal 1945 al 1975 attraverso le vicende di tre amici interpretati da Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Stefano Satta Flores, tutti innamorati di Luciana (Stefania Sandrelli). Il film è un capolavoro che lo consacrò definitivamente tra i grandi del cinema italiano regalandogli anche la fama internazionale con premi al festival di Mosca, il César francese e tre Nastri d’argento e confermando anche il suo successo di pubblico

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fonte: La Repubblica