Cgil e Uil: «Renzi, devi cambiare il Jobs Act»

Un milione e mezzo di persone riempie le piazze. «Basta dilettanti allo sbaraglio», «Il premier ci convochi», «Senza risposte nuove forme di lotta»: Camusso, Barbagallo e Landini, forti di uno sciopero con adesioni oltre il 60%, chiedono al governo
di cancellare il Jobs Act. Scontri in diverse città, D’Alema contestato a Bari

Lo sciopero generale. Un milione e mezzo di persone in 54 città, oltre il 60% aderisce allo sciopero. Camusso dal palco di Torino: «Continueremo a stare in piazza, occuperemo le province e lotteremo nelle fabbriche. Basta dilettanti allo sbaraglio, le leggi si devono discutere». Barbagallo a Roma: «Il premier ci stupisca e ci convochi»

«Se Renzi vuole con­ti­nuare a tirare dritto, sap­pia che lo faremo anche noi. Ci tro­verà nelle piazze, nei pre­sidi a Roma, a occu­pare le pro­vince, a con­trat­tare nelle fab­bri­che. Non ci fer­miamo». Susanna Camusso lan­cia un mes­sag­gio chiaro da Piazza San Carlo, a Torino, nel giorno dello scio­pero gene­rale che ha visto l’adesione di oltre il 60% dei lavo­ra­tori e 1,5 milioni di per­sone pre­senti nei cor­tei di 54 città (dati del sindacato).

Cgil e Uil hanno alzato al mas­simo l’asticella dello scon­tro, per­ché pun­tano a cam­biare sia il Jobs Act che la legge di sta­bi­lità, e i tempi sono stretti. Car­melo Bar­ba­gallo, da piazza Santi Apo­stoli a Roma, ha rilan­ciato: «Hanno creato lavo­ra­tori di serie C, altro che eli­mi­nare Ia dif­fe­renza tra quelli di serie A e B — dice il segre­ta­rio Uil — Entre­ranno in aziende dove altri lavo­ra­tori hanno l’articolo 18, e loro no. Entre­ranno con il con­tratto a tutele cre­scenti, cioè cre­scenti per le imprese, e potranno essere deman­sio­nati e con­trol­lati a distanza. E alla fine dei tre anni, con gli sgravi l’imprenditore avrà rispar­miato 13 mila euro, men­tre licen­ziare gli costerà sol­tanto 7 mila euro». «Non hanno dato l’articolo 18 a chi non ce l’aveva e stanno cer­cando di toglierlo a chi ce l’ha», ha aggiunto.

Dalla piazza pie­mon­tese, anche la segre­ta­ria della Cgil ha par­lato con­tro il Jobs Act. E con­tro il pre­mier: ««Forse per Renzi lo Sta­tuto dei lavo­ra­tori è vec­chio per­ché ha 40 anni. Non vor­remmo sen­tir­gli dire che anche la Costi­tu­zione è vec­chia per­ché ne ha 70. Quando si ini­zia così, si sa dove si comin­cia e non si sa dove si va a finire».

Camusso vor­rebbe al con­tra­rio che «le tutele fos­sero estese anche ai pre­cari, e non tolte a tutti: che bello se un giorno potes­sero dire che hanno ferie, malat­tia, infor­tuni. Al con­tra­rio, quello che si estende sono i vou­cher — incalza la lea­der Cgil — Quei buoni che pos­sono usare per chia­marti quando vogliono, e cac­ciarti quando non servi più».

Un super­mar­ket della pre­ca­rietà che insomma con il governo a guida Renzi ria­pri­rebbe i bat­tenti a tutto spiano. E per que­sto i sin­da­cati insi­stono, quelle leggi vanno modi­fi­cate: «Sono norme che non vanno bene — dice Camusso par­lando del Jobs Act — Da cam­biare: noi con­ti­nue­remo e le cambieremo».

Come cam­biarle se non c’è dia­logo con il sin­da­cato? Camusso torna sulla con­cer­ta­zione: «E’ chiaro — dice — che le leggi le fa il Par­la­mento, noi lo abbiamo sem­pre pen­sato che sia lì il luogo della piena rap­pre­sen­tanza demo­cra­tica, e non abbiamo mai pen­sato di sosti­tuirci. Ma magari con un uso un po’ minore della fidu­cia lo fai agire meglio», dice con una sti­let­tata indi­riz­zata diret­ta­mente al premier.

«Siamo chiari — ha con­ti­nuato la lea­der Cgil — Noi non abbiamo nostal­gia dei riti, né della Sala verde. Dico però al governo che in qual­che forma, la scel­gano loro, dovrebbe discu­tere. Basta con i dilet­tanti allo sba­ra­glio: quei pro­fes­sori che ci dove­vano spie­gare tutto, e alla fine si è visto il disa­stro con le pen­sioni e le riforme del lavoro».

Appello al dia­logo rin­no­vato anche da Car­melo Bar­ba­gallo: «Caro pre­si­dente del con­si­glio ci stu­pi­sca. Ci con­vo­chi e discu­tiamo del futuro del Paese», ha detto dal palco il lea­der della Uil. Con­clu­dendo con un appello che ricorda tanto il «resi­stere, resi­stere, resi­stere» usato ai tempi con­tro Ber­lu­sconi: «Noi fac­ciamo andare avanti il Paese. Non ci ras­se­gniamo, mi fa pia­cere che ci sia l’Anpi oggi in piazza con noi. Faremo la nuova Resi­stenza con­tro coloro che pen­sano di poter fare a meno dei corpi inter­medi, dei sindacati».

Ma i sin­da­cati hanno voluto man­dare un mes­sag­gio anche alle imprese, a quella Con­fin­du­stria che fino alla vigi­lia aveva defi­nito lo scio­pero uno stru­mento supe­rato, o comun­que non adatto ad affron­tare una fase di crisi: «Forse pen­sano di poter tor­nare a quando uno deci­deva tutto e i lavo­ra­tori obbe­di­vano — ha detto Camusso — Ma sap­piano che non abbas­se­remo la testa, quel tempo è finito». E ancora: «Siamo pronti a lot­tare nei luo­ghi di lavoro: quello che ci toglie il governo, lo ricon­qui­ste­remo nelle fab­bri­che». Insomma, con­flitto e con­trat­ta­zione, magari per ripren­dersi pezzi di tutele e diritti persi per strada con il Jobs Act.

Con un occhio alla redi­stri­bu­zione, pal­lino del sin­da­cato. Con toni diversi. Sia Cgil che Uil insi­stono sul recu­pero delle risorse, per gli inve­sti­menti e per i red­diti di lavo­ra­tori e pen­sio­nati, «da eva­sione e cor­ru­zione». Ma poi Camusso torna sulla patri­mo­niale: «Chi ha di più, dia di più. Chie­diamo un con­tri­buto alle grandi ric­chezze». Men­tre la Uil su que­sto punto non si ritrova, e pre­fe­ri­sce che si for­zino i patti Ue: «Renzi si metta alla testa dei paesi che vogliono sfon­dare il 3%», chiosa Barbagallo.