C’è del marcio in Danimarca?
Una riflessione sui fatti di Macerata – di Renzo Baricelli (Redazione)
Siamo in una piccola città capoluogo di provincia dell’Italia centrale.
Il centro della cittadina e racchiuso dentro le sue mura.
Camminando possiamo ammirare negozi con belle vetrine e bella la merce esposta.
Non poche sono le banche che si affacciano su quelle strade.
Anche le chiese sono numerose.
Non pochi gli studi degli avvocati.
Nel suo territorio vi è l’università e una importante presenza di scuole medie superiori
Le sedi istituzionali : il comune, il tribunale, il palazzo della provincia, la questura, gli uffici della prefettura.
Il pubblico ufficiale di grado più elevato in rappresentanza del governo è stato nominato da pochi mesi: è il Prefetto.
Avviene un delitto: una giovane donna viene uccisa e poi fatta a pezzi per occultarne il cadavere.
Il fattaccio esecrabile diventa subito oggetto di sgomento e di discussione che coinvolge tutti gli abitanti della cittadina e dell’intero paese.
Viene rapidamente individuato ed arrestato il presunto autore del delitto.
Il magistrato che conduce le indagini sembra abbastanza convinto che il caso possa avviarsi a sicura conclusione.
Quando, dopo qualche giorno, un uomo, un membro di quella comunità che molte persone conoscono, esce una mattina armato di una pistola e va a sparare in tutta calma su un gruppo di persone che tranquillamente si trovavano per strada.
Spara e ferisce 6 persone.
Per puro caso, nessuna delle persone colpite dalle pallottole è morta ma poteva essere una strage.
Dopo avere scaricata l’arma contro innocenti e innocui passanti, il giovane si mette una bandiera tricolore sulle spalle e grida di avere voluto vendicare la donna assassinata.
Subito, il capo nazionale della Lega Nord fa una dichiarazione dalla quale si evince che occorre comprensione per lo sparatore che avrebbe agito a causa della invasione del nostro paese da parte degli immigrati.
Poi vien fuori che il giovane che ha sparato era stato un candidato della Lega Nord alle elezioni amministrative.
Si scopre che, in effetti, era convinto prosecutore del nazifascismo e il suo criminoso gesto era solo la dimostrazione che dalle parole era passato ai fatti.
A questo punto chi gli aveva dimostrato comprensione, dice che lo sparatore è soltanto un povero squilibrato.
Il fatto e il suo significato non poteva finire lì.
Alcune organizzazioni neofasciste affermano solidarietà al fascista
che ha sparato e ferito per razzismo e lanciano una sottoscrizione per sostenere la sua difesa. Annunciano anche una pubblica manifestazione nella cittadina dove è avvenuto il fatto.
Molte persone e associazioni lanciano un appello per una manifestazione antifascista in difesa della legalità e dell’ordine repubblicano.
Il Sindaco della cittadina a questo punto si preoccupa e, con la approvazione del ministro degli interni, chiede ai neofascisti e ai democratici antifascisti di rinunciare a manifestare.
Non si accorge di mettere sullo stesso piano la legalità costituzionale antifascista dello stato democratico e l’apologia del fascismo.
Naturalmente ci sono persone, associazioni e partiti democratici che considerano un grave e pericoloso errore il divieto di effettuare la legittima, democratica e pacifica manifestazione antifascista.
Il sindaco insiste nel chiedere che si rinunci alla manifestazione e annuncia che farà chiudere tutte le scuole, tutti i negozi, gli uffici pubblici e i trasporti. Resteranno chiuse persino le chiese.
Il ministro degli interni condivide le posizioni del sindaco.
I promotori della manifestazione antifascista insistono in tutte le sedi per ottenere la autorizzazione a svolgerla.
Finalmente il prefetto di quella provincia concorda percorso e modalità della manifestazione che viene così autorizzata.
Alla manifestazione partecipa una fiumana di gente. Tutto si svolge pacificamente.
Alcuni giorni dopo, quel prefetto viene trasferito ad altro incarico.
Non sono Pasolini e non posso affermare “io so”.
Però posso formulare delle domande e posso auspicare che qualcuno in parlamento chieda al governo risposte, chiarimenti.
Quale problema di ordine pubblico era stato prefigurato per spingere alla decisione di chiudere scuole, botteghe, uffici, trasporti pubblici e, finanche le chiese ?
Cosa si temeva: la calata dei barbari e il saccheggio della città?
Si ritenevano possibili gravi scontri tra forze dell’ordine e dimostranti?
Ma allora, negare l’autorizzazione poteva significare aumentare questo rischio anziché prevenirlo.
Le straordinarie misure annunciate e poi attuate di chiudere tutto, creando ulteriore allarme e tensione nella popolazione, fanno sorgere inquietanti interrogativi.
Visto che siamo prossimi alle elezioni politiche, c’era forse un interesse a gestire la capacità di impedire con la forza pubblica una manifestazione non autorizzata mettendo in conto uno scontro tra manifestanti e forze dell’ordine di fronte alla platea televisiva dell’intero elettorato?
E’ possibile ritenere che sarebbe stato facile, per chi avesse voluto farlo, addossare la responsabilità politica alle organizzazioni e partiti che stanno politicamente a sinistra del governo?
E, nel caso gli antifascisti fossero stati indotti ad accettare la rinuncia al loro diritto alla manifestazione pubblica, era stata valutata la gravità politica per la democrazia di mettere sullo stesso piano il valore costituzionale dell’antifascismo e il neo fascismo ? E la gravità di un simile precedente ?
Il perché di queste domande dipende dal fatto che ci troviamo di fronte a persone e organismi abituati a ponderare le convenienze (magari solo politiche) di ogni parola, di ogni gesto, di ogni decisione.
Sono aspetti che rendono lecito inquietarsi e fare domande.
Redazione di Nordmilanotizie