La “buona” scuola

La buona scuola di Renzi è quella di un paese, l’America, in cui le scuole migliori sono pri­vate e costo­sis­sime; un paese in cui anche le scuole pub­bli­che, finan­ziate con la fisca­lità muni­ci­pale, pos­sono avere rette molto ele­vate e dove le più acces­si­bili si tro­vano nei quar­tieri depri­vati e accol­gono i poveri, gli svan­tag­giati, i discri­mi­nati. Un paese in cui la dispa­rità eco­no­mica è diret­ta­mente pro­por­zio­nale alla dispa­rità educativa. C’è un pas­sag­gio, nel docu­mento, in cui si dice che «ogni scuola dovrà avere la pos­si­bi­lità di schie­rare la squa­dra con cui gio­care la par­tita dell’istruzione», ossia la libertà di sce­gliere i docenti che riterrà «più adatti» per rea­liz­zare la pro­pria offerta for­ma­tiva. La meta­fora cal­ci­stica di ber­lu­sco­niana memo­ria, rivela esat­ta­mente qual è la dire­zione del governo: por­tare a com­pi­mento il pro­cesso di pri­va­tiz­za­zione della gestione della scuola intra­preso da Ber­lin­guer con la legge sull’autonomia e, con­tem­po­ra­nea­mente, com­ple­tare il per­corso di arre­tra­mento dello stato inau­gu­rato da Tre­monti, fino alla com­pleta dismis­sione della scuola pub­blica.
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