Tutto cominciò nello splendido centro storico di Budapest sessant’anni fa, oggi il mondo non lo sa o lo ha dimenticato. Ungheria, 23 ottobre 1956. I cecchini della AVH, Allam védelmi hatosàg, l’odiata e temuta polizia segreta, cominciarono all’improvviso a sparare sulla grande folla della manifestazione pacifica per la democratizzazione, voluta dagli studenti in appoggio al premier comunista riformatore Imre Nagy. Sangue, morti per le strade, reazioni esasperate e violente della piazza.
E poche ore dopo tutto precipitò: guidate dal giovane generale Pàl Maléter, riformatore anche lui, le forze armate nazionali si schierarono con gli insorti, e indussero l’Armata rossa alla momentanea ritirata.
Non si trattava di un tentativo di “restaurazione reazionaria” – come affermò in quei giorni l’Unità – ma al contrario la testimonianza di una condizione di insopportabilità che gli stessi comunisti magiari avvertivano.
Ebbene la linea scelta da Palmiro Togliatti fu subito di subordinazione ossequiente agli ordini di Mosca. La scelta di Togliatti sarà, anche in seguito, definita “inevitabile” da Giorgio Napolitano, quale conseguenza della divisione dell’Europa in sfere d’influenza contrapposte: perciò egli sostenne che l’azione sovietica aveva evitato, nel cuore dell’Europa, un fascismo di ritorno.
Due futuri presidente della repubblica, Giorgio Napolitano da un lato e Sandro Pertini da un altro, condivisero l’atteggiamento filo-sovietico del PCI di Togliatti.