Dopo 25 minuti mancava che salisse sul palco un cordone sanitario. Ancora un po’ e Salvini lo avrebbe preso sottobraccio per evitare che i 25mila in piazza dessero di matto una volta per tutte. I leghisti urlavano Matteo-Matteo già da tempo: non contestazione, ma noia, che è peggio. Non fischi, ma sbuffi. Fino a quel momento avevano ascoltato la solita tiritera, stufi e distaccati, facendosi entrare le cose da un orecchio per farle uscire dall’altro. Ma lui, l’ex leader, non mollava. “Ora vi faccio un giuoco”. No, il gioco no, Berlusca, ti prego. E invece sì, ascoltate, è una cosa seria: “Volete meno tasse?”. Ancora il vecchio giochino delle domande retoriche, con la folla che risponde sì o no. “Volete che Equitalia venga cancellata?”. Una pantomima fatta cento e cento volte. “Siete d’accordo che chi vuole fare qualcosa e ha buone idee, non deve aspettare mesi, anni per avere i permessi?” (testuale). E poi l’Iva e poi la tassa di successione, l’eterna fissazione per l’eterno riposo. Così Matteo Salvini a un certo punto salva lui e soprattutto se stesso: manca un quarto alle due, quando l’Italia avrà occhi solo per le motociclette in Spagna. Così prima gli si mette accanto e gioca di sguardi: prima lui (“L’ultima e poi basta”) e poi la gente, “Dai, calmi, è quasi finita”. Poi, quando vede che Berlusconi ci starebbe fino a notte fonda, tira un pugno sul leggio. Lì Berlusconi finalmente si sveglia e capisce. Deve togliere il disturbo, quella piazza non lo vuole più. L’ex mattatore dei palchi azzurrissimi, il fenomeno della propaganda in tv, il campione delle rimonte elettorali deve solo risolvere un altro problema, ora: capire se esiste ancora da qualche parte una piazza disposta ad ascoltarlo. Dice di essere commosso perché gli hanno regalato un comizio tre anni dopo l’ultima volta. Chissà, forse ripensa alla decadenza da senatore alla “umiliazione” dei servizi sociali, al silenzio a cui era costretto dal tribunale. Ma in piazza Maggiore l’unico emozionato è lui.