Autotrasportatori, da domani sera rischio blocchi sulle strade di tutta Italia
La protesta comincerà dalle 22 di domenica e andrà avanti fino a venerdì. Rischia di paralizzare il Paese. Tensioni in Sicilia dove molti prefetti hanno vietato gli assembramenti. I ‘forconi’: “Non possono fermarci per sempre”. Governo preoccupato
ROMA – Hanno bloccato l’Italia meno di due anni fa e lunedì tornano in strada. Gli autotrasportatori hanno confermato il fermo nazionale dalle 22 di domenica 8 a venerdì 13 dicembre. Aderiscono solo alcune sigle, ma la protesta fa paura. Sono più di trenta i presìdi già programmati dai camionisti e dal “movimento dei forconi”, cui potrebbero aggiungersi anche i Cobas. E il rischio principale riguarda possibili blocchi di strade e di nodi ferroviari in grado paralizzare la circolazione in diverse parti del Paese. A preoccupare sono soprattutto alcune frange dei “forconi” in Sicilia, dove questori e prefetti hanno vietato blocchi e presidi che comportino disagi per la circolazione. A Catania il leader del movimento Mariano Ferro annuncia: “Non potranno fermarci per sempre”.
ll timore è che si possa ricreare la situazione degli inizi del 2012, quando la ‘rivolta dei tir’, partita a metà gennaio dalla Sicilia, si estese a tutta la penisola, causando milioni di euro di danni a tutti i comparti produttivi e generando un vero e proprio ‘panico’ da ‘tutto esaurito’, con l’allerta scorte dal nord al sud dell’Italia. E poi ci sono i rischi per la sicurezza. Le questure sono allertate per la possibilità che alla protesta si uniscano elementi di estrema destra.
Il sottosegretario con delega all’autotrasporto, Rocco Girlanda, ha diffuso una nota preoccupata: “Ritengo sia doveroso chiarire che lunedì 9 dicembre non è un fermo del settore dell’autotrasporto, ma solo di alcuni che aderiscono a movimenti di protesta concomitanti con altre categorie che hanno in animo forme di dissenso eclatanti a livello nazionale e che stanno assumendo in questi giorni preoccupanti toni di carattere ‘rivoluzionario’, dal quale si discostano tutte le maggiori associazioni dei vettori”. Stessa preoccupazione da Giuseppe Berretta, sottosegretario alla Giustizia: “Un blocco della circolazione a ridosso delle festività natalizie sarebbe un colpo gravissimo per una economia già in ginocchio come quella siciliana”.
Dal fronte dei contrari arrivano rassicurazioni: “L’autotrasporto italiano non si fermerà – ha detto Paolo Uggè, presidente di Unatras, sigla che unisce le maggiori organizzazioni dell’autotrasporto, nonché presidente di Fai-Conftrasporto – . Le maggiori sigle sindacali del Paese che rappresentano il 90% degli operatori del trasporto, Fai-Conftrasporto, Anita, Fita Cna, Confartigianato Trasporti, hanno revocato la protesta lo scorso 28 novembre, dopo la firma di un protocollo presso il ministero dei Trasporti con il quale il governo ha definito importanti interventi per la categoria”.
Ma proprio la scelta di non aderire fatta dalle principali sigle del settore potrebbe complicare le trattative. Maurizio Longo, il segretario generale di Trasportounito, anima della protesta, avverte: “I danni del fermo dal 9 al 13 dicembre saranno da attribuirsi esclusivamente alla politica miope e incapace di affrontare concretamente i problemi che sono alla base dell’economia reale. Abbiamo chiesto semplicemente un sistema di regole chiare, concrete e applicabili oltre a interventi urgenti per la Sicilia e la Sardegna”.
In Sicilia, la tensione fra favorevoli e contrari alla protesta è sfociata in minacce a Campobello di Licata (Agrigento), dove cartelli con messaggi minatori sono apparsi all’ingresso del deposito di un consorzio di autotrasportatori aderenti alla Fita-Cna: si consiglia “di non fare uscire i mezzi nel giorno della rivoluzione”, altrimenti “vi pesteremo a sangue – si legge nei cartelli – fino a farvi morire”. Il cartello si chiude con un appello alla “rivoluzione che farà libera la Sicilia – attaccheremo lo Stato”. Ieri la Cna siciliana aveva espresso la propria contrarietà al “blocco dei Tir” nell’isola, ricordando come “paralizzare la Sicilia proprio nei giorni a ridosso delle festività Natalizie provocherebbe un danno pesantissimo all’economia dell’isola”.
In Toscana si annunciano molti presidi e anche cortei. A Firenze è annunciato un presidio a partire dalle 7 alla Fortezza da Basso. A Grosseto, il ritrovo è previsto alle 7 al piazzale della stazione. Qui un corteo muoverà da via Mameli per arrivare fino a piazza Dante. A Livorno i presidi saranno previsti al porto e all’attracco dei traghetti. Mentre a Piombino i trasportatori hanno annunciato un presidio all’ingresso della Sol, in viale Unità d’Italia. A Siena i tir stazioneranno al casello autostradale di Valdichiana e ad Arezzo ci sarà un comizio in piazza della Stazione. I promotori della protesta annunciano iniziative anche a Pistoia, Lucca e Pontedera.
A Bari il blocco dei mezzi pesanti comincerà dalle 22 di domani sulla tangenziale in entrambe le direzioni di marcia, fra l’uscita di Poggiofranco e quella di Carrassi, mentre per lunedì dalle 9 è previsto un presidio in piazza Prefettura e un corteo che partirà alle 10 per poi percorrere corso Vittorio Emanuele, via Principe Amedeo, via Andrea da Bari per ritornare in Piazza della Libertà dove si terrà un comizio; infine alle 18 è in programma un’assemblea pubblica nell’aula consiliare del Comune.
Prima ‘vittima’ del blocco della circolazione del 2012 fu il “made in Italy” agroalimentare: lo stop alle consegne dei prodotti deperibili come l’ortofrutta, il latte, i fiori, la carne e il pesce, causò oltre 100 milioni di danni, secondo Coldiretti, che in quell’occasione organizzò una distribuzione gratuita a pensionati e famiglie bisognose di latte, uova, frutta e verdura da parte degli agricoltori in una decina di città italiane.
Dopo cinque giorni che misero in ginocchio la Sicilia, la protesta si spostò prima a Roma e poi nel resto d’Italia, bloccando non solo i rifornimenti dei supermercati ma anche teatri, raccolta rifiuti, industrie, porti: praticamente l’intero paese. Perfino la Fiat che, a fine marzo, quando lo sciopero delle bisarche era terminato, ritenne necessari ulteriori stop produttivi per smaltire il gran numero di automobili parcheggiate all’interno degli stabilimenti.
fonte: La Repubblica