Argentina: si torna a parlare di Malvinas

Ringraziamo il nostro “corrispondente da Buenos Aires” Dario Clemente per questo bellissimo reportages ed anche per le preziose fotografie della banconota con le Madri de Plaza de Majo, delle scritte murali e del Museo delle Malvinas. Il 23 Giugno il comandante in capo dell’esercito Cesar Milani, indagato dal 2007 per aver partecipato al sequestro e uccisione di più persone durante la dittatura, consegna a mezzo stampa le dimissioni per “motivi personali”. Gli succederà´ Ricardo Luis Cundom, generale di divisione reduce della guerra di Malvinas. La rinuncia all’incarico, che deteneva dal 2013, segue di soli pochi giorni un’altra “rinuncia volontaria”, quella del candidato kirchnerista e ministro dei trasporti Florencio Randazzo alle primarie presidenziali del Fronte Per la Vittoria, dopo che Cristina Kirchner aveva infine accordato il suo endorsement al peronista di destra Daniel Scioli.

Fra le prime ipotesi  sulla rinuncia di Milani, una è quella di un litigio dovuto alla mancata conferma da parte del ministro della difesa Augustin Rossi della promozione da parte di Milani del colonnello Marcelo Oscar Granitto, a causa del parere negativo del Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS), organismo dei diritti umani che “vaglia” i curriculum dei militari prima che siano nominati per alti incarichi.

Esulta  la leader delle Madri di Plaza de Mayo- Linea Fundadora Nora Cortiñas, che in dicembre aveva presentato un “heabeas corpus” perché Milani si presentasse davanti alla giustizia per rispondere anche della desaparicion del figlio Gustavo. Mentre Hebe de Bonafini, presidentessa delle altre “Madri” qualifica le accusazioni di “illazioni” per liquidare il militare e far danno al governo.

Da questo singolo evento, filtrato attraverso la triangolazione esercito-governo-movimenti sociali, emergono alcune delle caratteristiche principali dell’utilizzo che i governi del kirchnerismo hanno fatto della storia e della memoria. E si intrecciano due dei filoni principali di questa narrativa Nacional y Popular: Malvinas e il tragico lascito della dittatura.

Il 24 Marzo e la dittatura militare.

Il 24 di Marzo di ogni anno si ricorda il golpe militare che destituisce Isabelita Peron e pone le redini del paese nelle mani della triade Videla-Massera-Agosti, dando il via a 7 anni di violazioni sistematiche dei diritti umani che culmina con il drammatico bilancio di circa 30.000 desaparecidos, tra militanti di sinistra, studenti e lavoratori.

Il ricordo e la commemorazione militante di quella data è stata per lunghi anni appannaggio quasi esclusivo della sinistra di base, in un lunghissimo periodo di inerzia politica statale in cui ogni tentativo di giudicare i militari veniva sistematicamente fermato.

Anche il trentennale del colpo di stato, nel 2006, non ha fatto eccezione.

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Gradualmente pero, il governo di Nestor Kirchner, instauratosi nel 2003, assume il tema dei diritti umani come centrale nella nuova politica rispetto alla dittatura.

Questa nuova attenzione passa attraverso alcuni gesti esemplari e coraggiose politiche di Stato.

Il 24 Marzo del 2004 Nestor Kirchner, in occasione del primo anniversario del golpe da presidente, ordina la rimozione dei quadri di Videla e Bignone, primo e ultimo presidente de facto della dittatura, che ancora campeggiavano nella “galleria dei direttori” del collegio militare. 

I passi concreti invece, sono cominciati con l’annullamento delle leggi “punto finale” e “obbedienza dovuta” da parte del congresso nel 2003, poi ratificata dalla corte suprema nel 2005, e proseguiti con il dispiegarsi di una agenda politica dei diritti umani senza precedenti nella Argentina democratica. I processi sono di conseguenza ripartiti, e nonostante le innumerevoli difficoltà nel condurli si è giunti finora alla condanna in 250 casi su 1886 secondo i dati del CELS, che fin dal 1979 assiste legalmente le famiglie deidesaparecidos. 

Il “nuovo corso” kirchnerista ha portato alla convergenza massiva della maggior parte delle organizzazioni sociali che militavano nel campo dei diritti umani sotto l’ombrello del governo e garantito il loro appoggio esplicito al suo operato. L’emissione, lo scorso Marzo, di un biglietto da cento pesos con l’effige di una “Madre” avvolta nel caratteristico fazzoletto bianco ne è al tempo stesso il sigillo e uno degli aspetti più polemici.

Non mancano infatti le critiche di chi considera “l’allineamento” di queste associazioni al governo, e in generale quello dei gruppi di militanza di base sorti nel post-dittatura e durante la crisi del 2001, come un abile ed estenso programma di “cooptazione” delle istanze sociali indipendenti.

L’adesione delle “Madres de plaza de mayo” guidate da Hebe de Bonafini alla linea del governo, ha rinforzato una divisione in seno al movimento dei familiari dei desaparecidos che ha origini negli anni ´80, e che ora si fonda su differenti valutazioni della politica dei diritti umani del kirchnerismo e il bisogno di mantenersi autonomi dalla sua azione.

La nomina del militare a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito argentino il 3 luglio 2013 è uno degli esempi migliori dei chiaroscuri della politica del governo sui diritti umani, e delle divisioni che questa ha creato all’interno dei movimenti sociali.

Mentre la “linea fundadora”il CELS e il premio Nobel per la pace Perez Esquivel obiettavano alla promozione, chiedendo al Frente Para la Victoria, l’alleanza di governo, di ripensarci, le “Madri” appoggiavano il generale, con Hebe de Bonafini che lo intervistava personalmente per la rivista dell’associazione .

La linea ufficiale del governo era garantista: finche´ non ci sono condanne l’imputato viene considerato innocente e rimane in carica. L’opposizione e le associazioni dei diritti umani sottolineavano pero come l’incarico ricoperto da Milani lo “proteggesse” dall’avanzare dei processi, offrendogli una forte copertura, se non legale quantomeno politica.

Sullo sfondo, la complessa questione della trasformazione dell’esercito e della polizia nel periodo democratico: la permanenza in carico di migliaia di agenti utilizzati ai tempi della dittatura si aggiunge a quanto resta da fare nell’esercito che, seppur “ridimensionato” dai tagli di Menem, rimane tutt’altro che depurato dalla presenza dei militari che violarono i diritti umani durante il “processo di riorganizzazione nazionale”.

Malvinas, “un posto nel nostro cuore e non solo”.

Il fatto che il nuovo Comandante in Capo dell’esercito sia un reduce di Malvinas non pare essere un caso, ed è sicuramente una scelta di potente valore simbolico. Il kirchnerismo si libera allo stesso tempo di un ospite diventato scomodo e lo sostituisce con Cundom, che ai tempi della guerra era ufficiale di complemento e semplice pilota di elicottero, quindi “eroe” non assimilabile alle scelleratezze compiute della cupola militare verso i propri soldati.

Con il kirchnerismo il tema delle isole “irredente” ha riacquistato una centralità nel discorso politico che non si osservava dalla dittatura.

Malvinas volveremos

Lo scorso 10 Giugno, per esempio, la presidentessa Cristina Kirchner tracciava nel suo discorso dal Museo delle Malvinas una linea retta tra la rivendicazione sulle isole e la questione “fondi buitres”, in nome della sovranità nazionale. La questione della sovranità si unisce alla denuncia delle vestigia del colonialismo occidentale e in particolare britannico nel mondo, di cui molti esempi sono concentrati nel continente sudamericano. Fondamentale anche il discorso sulle risorse naturali, dal petrolio alla florida industria della pesca, che lo Stato argentino considera usurpati dai kelpers, gli isolani, e dal Regno Unito.

Questa retorica “nazionale e popolare” ha sostenuto a livello discorsivo la ripresa della offensiva diplomatica a livello internazionale per il recupero delle isole. Assieme alla fine dell’embargo cubano, il tema Malvinas è ora indiscutibile priorità regionale, puntualmente reiterata nei vertici dei paesi del continente, e anche gli Stati Uniti hanno dovuto (mal)digerirla.

Ultimamente la questione si è riaccesa in seguito alle rivelazioni di Snowden sullo spionaggio realizzato dai britannici a danno del governo argentino tra il 2006 e il 2011  dall’annuncio di un ammodernamento totale delle difese dell’isola, minacciate da un fantomatico riarmo argentino.

Se nei primi anni del kirchnerismo il tema non aveva rappresentato particolare rilevanza, a partire dal 2010 occupa uno spazio crescente nel discorso pubblico del governo, accompagnato da gesti come l’apertura del museo, la creazione di una segreteria dedicata all’interno del Ministero degli Esteri, la creazione di una banconota da 50 pesos commemorativa del reclamo e maggior impulso al processo di identificazione dei corpi argentini senza nome sepolti sulle isole.

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di Dario Clemente. Senza dubbio questo attivismo dei kirchner, presidenti “malvineros” in quanto di origine patagonica, e l’incorporazione del tema nel progetto di “Memoria, verità e giustizia”, nasconde alcune rimozioni importanti.

Dimostra una relazione con il passato “sospesa nel tempo e nello spazio” in cui si avverte una mancata riflessione sul quel repertorio simbolico nazionale in relazione alle isole a cui si continua a ricorrere quando si afferma che le Malvinas “erano, sono e saranno argentine”. Che è lo stesso lignaggio storico a cui si appellarono per motivare la guerra quei militari che contemporaneamente conducevano un “genocidio” in patria, e perseguivano i soldati impiegati al fronte con maltratti e sevizie. Che arruolarono forzatamente i diciottenni poveri e prevalentemente di origine indigena, i “cabecitas negras”, e li mandarono al massacro senza armamenti e vettovaglie sufficienti.

Il museo, la retorica, unisce precedenti tanto diversi della lotta storica per il recupero delle isole che appaiono inconciliabili.

Come si chiede lo storico Federico Lorenz: “Può un paese che emerge da una dittatura con la decisione di (auto)giudicar(si) sostenere un repertorio nazionalista e patriottico come quello delle Malvinas senza chiedersi fino a che punto quello stesso non fu all’origine delle violenze della dittatura stessa?”

Si puo’ evitare di chiedersi cosa sarebbe successo se quella guerra fosse stata invece vinta, conducendo ad un probabile intervento militare anche contro il Cile, che degli inglesi era socio di minoranza? Di quale Argentina staremmo ora parlando se quel successo, come accaduto per la Thatcher, avesse finito per rinforzare il regime militare, mutando la storia recente del paese? 

Alcune riflessioni.

Assistiamo all’impiego di una potente retorica, che utilizza la storia più o meno recente dell’Argentina per incorniciare la agenda politica del kirchnerismo.

Ciò non toglie, ovviamente, che molte di queste scelte politiche siano state coraggiose e abbiano avuto effetti positivi senza precedenti.

L’ascesa al potere di Nestor Kirchner ha significato in questo senso un vero e proprio spartiacque con i governi precedenti, riportando il tema dei diritti umani alla centralità che merita e facendone oggetto di politiche pubbliche ammirabili. Ha promosso la riapertura dei processi contro i genocidi e la ricerca dei figli di desaparecidos appropriati dai militari, affrontando il tema della dittatura e di tutte le sue barbarie come nessun altro paese della regione. Un confronto tra la società e il suo recente passato che in Italia o in Spagna, per esempio, non è avvenuto.

Sta realizzando tutto questo a suon di potenti dosi di retorica, che sono pero in ogni caso preferibili al silenzio, alla rimozione o alla aperta difesa del “processo di riorganizzazione nazionale” che ancora qualcuno si azzarda a fare.

Ha trasformato delle ricorrenze che vedevano due ali di folla applaudire una sfilata militare in piazze piene di gente normale, attenuando la forte militarizzazione delle celebrazioni di Stato. Soprattutto, ha prodotto un ribaltamento culturale per cui i musei, le manifestazioni culturali, la radio e la televisione si occupano ora del passato con uno sguardo critico e non più subalterno a modelli culturali importati che descrivono l’Argentina come una chiassosa e discola alunna che non resta al suo posto, in fondo alla classe, a fare i compiti che le assegnano.

Questa versione della storia, seppur ben radicata nel paese dopo 12 anni di governo “K”, non potrà durare in eterno, intonsa. Dovrà fare i conti con i cambiamenti politici che la elezioni del prossimo autunno porteranno con se’. Mentre il candidato del Fronte Per la Vittoria Daniel Scioli, recentemente recuperato al kirchnerismo, sembra essere guarito daitentennamenti che aveva avuto in passato nel condannare la dittatura, il principale oppositore, l’ex sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri, ha abbandonato le sue perplessità sulla recuperazione delle Malvinas  solo all’alba della campagna elettorale. Non ci sono temi sacri, quindi, ne “politiche di Stato” che non possano essere modificate all’occorrenza, supportate da una lettura della storia argentina radicalmente differente.