di Mauro Caron
Essere donne e palestinesi a Tel Aviv. L’opera prima di Maysaloun Hamoud: un Sex and the City in salsa araba?
Certo, in un film così conta di più il messaggio politico che quello strettamente cinematografico. Il tema si impone da sé: protagoniste sono tre donne palestinesi in Israele, soggette quindi a una doppia discriminazione, sessuale e etnica (benché quest’aspetto sia decisamente secondario, relegato alle poche battute sull’improbabilità di una relazione mista o nel rimbrotto del capo che non vuole che i lavoranti in cucina parlino tra loro in arabo perché questo potrebbe infastidire i clienti).
Leila e Salma dividono un appartamento a Tel Aviv e vivono una vita libera e disinibita, tra look audaci o alternativi, discoteche, alcol, droghe e amori occasionali. Noor è una ragazza mussulmana velata che arriva dalla provincia e sarà loro ospite per un po’ di tempo. Sono tre giovani donne di livello sociale e culturale non basso (Leila è un avvocato, Salma è un inserviente nei ristoranti ma lavora anche come disc jockey, Noor è una studentessa di informatica), che vivono con fastidio o con disagio le costrizioni della condizione femminile in un contesto di tradizioni sociali e familiari sentite come arcaiche: Leila vorrebbe trovare un uomo che la accetti così com’è e non la costringa a cambiare il suo stile di vita per renderla “presentabile” alla propria famiglia; Salma vorrebbe vivere liberamente la propria omosessualità e Noor si accorge che il suo promesso sposo è un bigotto ipocrita autoritario e violento.
Si tratta di rivendicazioni forti, di questioni che nemmeno in Occidente sono così pacificamente acquisite, e vissute con qualche contraddizioni dalle stesse protagoniste (Leila pretende di tenere una condotta alternativa ma aspira anche all’accettazione, Salma va a flirtare con la sua nuova conquista sotto il naso dei familiari – di religione cristiana – con le prevedibili conseguenze). Le tre donne (qualcuno ha compilato un’ardita equazione Tel Aviv : Libere = New York : Sex and the City) sono in between, nel mezzo, come recita il titolo internazionale, o Bar Bahar, tra terra e mare, come recita il titolo originale: sospese tra modernità e tradizione, tra libertà e convenzioni, tra l’aspirazione a compiere le proprie scelte e il pericolo di subire imposizioni e divieti. Nell’emblematica inquadratura finale le vediamo sedute fianco a fianco, diverse l’una dall’altra eppure avvicinate da un sentire comune, sedute sul bordo di una terrazza sul tetto, i piedi ciondoloni, con in mano i loro drink e sul viso espressioni perplesse. Il futuro è incerto, la strada da compiere è ancora lunga; ma loro ormai si sono già incamminate…
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