Sono 7 milioni gli italiani a rischio frane e alluvioni

Sono 7 milioni gli italiani a rischio frane e alluvioni

Negli ultimi 10 anni si è continuato a costruire in zone pericolose. Solo il 4% delle amministrazioni ha deciso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi. Secondo il rapporto della Legambiente, in un Comune su 3 ci sono interi quartieri a rischio idrogeologico

ROMA – La norma sul consumo di suolo deve ancora diventare legge e nel frattempo si va avanti asfaltando 7 metri quadrati di terreno al secondo. L’effetto serra avanza e con l’aumento di concentrazione di CO2 aumentano le alluvioni lampo. In questo contesto, che dovrebbe obbligare alla prudenza, negli ultimi 10 anni si è continuato a costruire in zone a rischio. Solo il 4% delle amministrazioni ha deciso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e la percentuale scende all’1% per gli insediamenti industriali. Così
Sono i dati contenuti nel rapporto Ecosistema Rischio 2016, l’indagine realizzata da Legambiente sulla base delle risposte fornite dai 1.444 Comuni che hanno risposto al questionario. A costruire dove non si dovrebbe non sono solo gli abusivi. Nell’88% dei casi (128 Comuni su 146) sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana e in 20 Comuni (14%) non si è trattato di qualche casa ma di interi quartieri. Nel 38% dei casi si è pensato bene di tirar su fabbricati industriali, nel 12% (17 Comuni) scuole e ospedali, nel 18% (26 Comuni) strutture ricettive e nel 23% (33 Comuni) strutture commerciali.

IL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE (Pdf)

Questo solo per le attività dell’ultimo decennio. I numeri complessivi sono ben più alti. In 1.074 Comuni (il 77% del totale delle amministrazioni che hanno risposto al questionario) ci sono case in aree a rischio. Nel 31% interi quartieri, nel 51% impianti industriali, nel 18% scuole o ospedali, nel 25% strutture commerciali.

Qualcosa comunque sta cambiando. Alcuni interventi aumentano ma il loro senso è spesso discutibile. Tra i 982 Comuni in cui è stata segnalata la realizzazione di interventi e opere di messa in sicurezza il 42% ha optato per nuovi argini (una scelta che in alcuni casi si limita a spostare il problema anziché risolverlo) e solo 12% ha ripristinato aree di espansione naturale dei corsi d’acqua. Nel 45% delle amministrazioni (439 Comuni fra i 982 dove sono stati realizzati interventi) sono state realizzate opere di consolidamento dei versanti montuosi instabili, ma solo 47 Comuni hanno previsto il rimboschimento dei versanti più fragili. Inoltre in 118 Comuni (8% del campione) sono stati realizzati interventi di tombamento e copertura dei corsi d’acqua: altro asfalto in superficie.

Due Comuni su 3 hanno dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e 4 Comuni su 5 hanno preparato piani urbanistici con la perimetrazione delle zone a rischio idrogeologico e hanno un piano di emergenza, ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini. “Ci vuole un’inversione

di tendenza: occorre fermare il consumo di suolo, programmare azioni che favoriscano l’adattamento ai mutamenti climatici e operare per la diffusione di una cultura di convivenza con il rischio”, propone il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti.

fonte: La Repubblica

http://www.repubblica.it/ambiente/2016/05/17/news/legambiente_rischio_frane_alluvioni-139970259/?ref=HREC1-12