7 maggio: elezioni in Gran Bretagna

Elezioni in Gran Bretagna: per la prima volta si teme l’ingovernabilità

Si vota il 7 maggio per rinnovare la Camera dei Comuni. Nei sondaggi testa a testa Labour-Conservatori ma la grande incognita è la stella nascente dell’indipendentismo scozzese, Nicola Sturgeon

dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA  –  La Gran Bretagna sta avendo un incubo: sogna di essere diventata l’Italia degli anni ’80. Dopo decenni di stabilità politica, in cui due partiti prendevano la maggior parte dei voti e si alternavano al potere, il Regno Unito arriva alle elezioni del 7 maggio tra previsioni di ingovernabilità all’italiana: nella migliore delle ipotesi dall’urna uscirà una coalizione di tre o più partiti, fragile e divisa, oppure addirittura un governo di minoranza, che naviga alla giornata e difficilmente potrà durare a lungo. Sicché è possibile che il voto non risolva niente e che si torni a votare entro qualche mese o un anno, magari con nuovi leader alla guida dei principali partiti.

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Secondo uno studio condotto da Nat Silver, l’analista elettorale americano che indovinò i risultati delle vittorie presidenziali di Obama negli Usa stato per stato senza sbagliarne uno, i conservatori saranno il primo partito, ottenendo la maggioranza relativa ma non quella assoluta, con 10-15 seggi più dei laburisti. Ma i Tories, anche alleandosi con altri partiti di centro o di destra, come i liberaldemocratici (loro partner nel governo uscente), i populisti antieuropei dell’Ukip o il Democratic Unionist Party (il partito protestante filo britannico nord-irlandese), non avranno probabilmente i numeri per arrivare alla maggioranza assoluta (che è di 326 seggi).

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Viceversa il Labour, pur piazzandosi come secondo partito nazionale, dovrebbe essere in grado di superare la soglia della maggioranza assoluta, alleandosi con i centristi lib-dem, forse con i verdi e con il partito del Galles, e grazie all’appoggio esterno del partito nazionalista ovvero indipendentista scozzese. In questo caso, tuttavia, si sa già che i laburisti verrebbero accusati di essersi messi nelle mani dei “ricatti” della Scozia su questioni come il budget e le armi nucleari: i conservatori affermerebbero che un governo simile non ha sufficiente legittimità.

Simili proteste causerebbero a loro volta una reazione a catena, contribuendo ad aumentare i consensi a favore dell’indipendenza in Scozia, dove nel settembre scorso il referendum per la secessione della regione dal Regno Unito era stato sconfitto 45-55 per cento ma che ora e anche di più in futuro avrebbe buone chances di vittoria, specie se da Londra si dice che un governo britannico appoggiato dagli scozzesi è illegittimo.

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Se ne ricava un puzzle all’insegna dell’instabilità e dalle conseguenze imprevedibili che può effettivamente ricordare, perlomeno a noi italiani, i governi pentapartito della nostra Prima Repubblica, quando la Penisola passava da una crisi politica all’altra. E’ paradossale che ciò avvenga nella Gran Bretagna odierna: le statistiche descrivono una nazione con una delle più forti riprese economiche d’Europa, bassa disoccupazione e livelli record in borsa.

Con cifre simili, il governo di David Cameron dovrebbe vincere a mani basse. Se non accadrà è per due motivi. La ripresa ha premiato soprattutto i privilegiati (il patrimonio dei 1000 più ricchi del Regno Unito è raddoppiato dal 2009 a oggi), è “drogata” dal mercato finanziario e da quello immobiliare, molti posti di lavoro creati sono al minimo salariale, classe media e classe operaia non sono tornate agli standard di vita di prima della grande recessione del 2008. Una sensazione di profonda ingiustizia sociale, acuita dai tagli alla spesa pubblica per ridurre il deficit, che hanno colpito in particolare la Nhs, il sistema di sanità pubblico nazionale, cardine del welfare britannico.

L’altro fattore è la personalità del premier: educato a Eton e Oxford, proveniente da una famiglia dell’alta società, Cameron appare a molti come il simbolo del privilegio. Ed è stato anche accusato, dai suoi stessi sostenitori come il magnate dell’editoria Rupert Murdoch, di non avere dimostrato sufficiente passione, energia e carisma in campagna elettorale.

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Anche il suo avversario Ed Miliband, leader laburista, suscitava dubbi: scarso comunicatore, propenso alle gaffe, paragonato dai vignettisti a Mr Bean, il buffo clown della tivù e del cinema. Ma in campagna elettorale è cresciuto, maturato, diventato forse perfino più disinvolto e simpatico. Il problema del Labour è che il deficit pubblico è almeno in parte frutto della politica dei suoi precedenti governi diretti da Blair e Brown. E che le ricette indicate da Miliband per “un futuro migliore” non sono del tutto chiare, mancano di una visione coerente e di slogan efficaci.

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La vera star della campagna elettorale è stata Nicola (equivalente di Nicoletta in inglese) Sturgeon, 44enne leader del partito scozzese, a cui viene pronosticato un risultato senza precedenti: potrebbe prendere 50 seggi sui 59 in gioco in Scozia e il merito in buona parte è stato anche suo, ha stravinto i dibattiti televisivi, ha portato una boccata di sincerità, novità e idee “davvero di sinistra” come non manca mai di ripetere.

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Infine c’è da tenere presente che se i conservatori resteranno al governo ci sarà quasi certamente un referendum sull’Unione Europea, come ha promesso Cameron, nel 2017, aprendo scenari ulteriormente destabilizzanti per la Gran Bretagna e per tutta l’Europa. Se invece a Londra ci sarà un governo laburista, anche in coalizione con altri partiti, il referendum non si farà.

Naturalmente i sondaggi a volte sbagliano e anche gli analisti elettorali più esperti, come Nat Silver, non sono infallibili. E’ possibile che i conservatori vincano una ventina di seggi in più e possano formare un governo di maggioranza insieme ai liberaldemocratici. Non si può escludere che il Labour sorpassi i Tories, si affermi come primo partito e rafforzi la legittimità di un suo governo di coalizione. Qualcuno scommette che alla fine l’unica ipotesi realistica sarà una “grande coalizione” alla tedesca (o all’italiana, visto che l’abbiamo sperimentata anche noi), un governo di transizione fra conservatori e laburisti. Una cosa sembra certa: nessun partito vincerà con un’ampiezza tale da governare da solo, come succedeva prima. Come appaiono lontani i tempi di Blair e della Thatcher.

fonte: la Repubblica

http://www.repubblica.it/esteri/2015/05/04/news/elezioni_in_gran_bretagna_per_la_prima_volta_si_teme_l_ingovernabilita_-113294247/?ref=HREC1-12