di Mauro Caron
Può esistere un film marxista-hollywoodiano?
A James Franco l’immagine di star belloccia sta evidentemente stretta.
Così oltre che come attore cinematografico e televisivo si è cimentato come produttore, regista, sceneggiatore, interprete; e poi pittore, poeta, novellista, filosofo. Come attore ha recitato nella parte di James Franco, di omosessuali, di pornografi, di criminali devianti, di Goblin sfigurati, di una salsiccia (maschio) ansiosa di penetrare in un panino (femmina); è stato premiato con il Golden Globe e nominato come peggior attore dell’anno ai Razzie. Come regista ha diretto documentari, cortometraggi, lungometraggi, film tratti da McCarthy, Faulkner, Steinbeck, metafilm su stesso, videoinstallazioni, video musicali.
Generosità? Incoscienza? Eclettismo? Dilettantismo? Velleitarismo? Genialità? Ansiosa e ansiogena ricerca di identità?
Una parte di queste categorie (genialità a parte, purtroppo) potrebbe servire a spiegare in parte In Dubious Battle – Il coraggio degli ultimi, che ha scritto, prodotto, interpretato, diretto. Franco prende un romanzo di un grande della letteratura americana, Steinbeck, lo riscrive, coinvolge una serie di vecchie glorie hollywoodiane (Duvall, Harris, D’Onofrio, Sam Shepard, in una delle sue ultime apparizioni prima della morte avvenuta nemmeno due mesi fa) e imbastisce un film politico e militante ambientato nei primi anni ’30 del ‘900, nel periodo della Grande Depressione, ma che allude all’oggi, quando ancora una volta i padroni della finanza producono sconquassi le cui conseguenze verranno pagate dalla gente comune, dagli umili senza potere, dagli ultimi.
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