Cos’hanno in testa gli Stati Uniti, nella guerra mediorientale?

di Luigi Vinci.  C’è molto disordine sotto il cielo occidentale, avrebbe constatato Mao. C’è molto disordine non solo nell’Unione Europea, com’è evidente, per non parlare dei territori a essa prossimi, ma anche, in modo meno evidente, negli Stati Uniti, di cui il fenomeno Trump è solo il fenomeno più visibile. Parliamo di questi ultimi, e dei loro comportamenti mediorientali. Qui il disordine statunitense sembra alle stelle.

Nelle scorse settimane il Sottosegretario al Dipartimento di Stato USA (il ministro degli esteri) John Kerry è apparso impegnato sul versante dei biasimo e delle condanne alla Russia per crimini di guerra (e, probabilmente, anche nel riavvio della discussione con questo paese per capire, possibilmente assieme, come uscire dal disastro mediorientale ovvero dal suo carattere sempre più netto e tragico di guerra infinita: che non conviene ai due paesi, benché convenga ai poteri attuali di Turchia, Arabia Saudita, Israele, che appunto alla trasformazione di questo disastro in guerra infinita si danno da fare, da più o meno tempo e ciascuno ovviamente per i suoi obiettivi particolari). Al contrario, sul piano di come muoversi in questa guerra è apparso iperattivo il Segretario USA alla Difesa (il ministro alla difesa) Ashton Carter: che si è incontrato a più riprese con i governanti turchi, Erdoĝan compreso, con i governanti iracheni e con quelli, tra cui il presidente Mas’ud Barzani, del semistato curdo-iracheno, infine con i governanti degli Emirati Arabi Uniti. Vediamo gestendo quale orientamento e facendo quali proposte.

Gli obiettivi USA sul versante della Turchia, ha dichiarato Carter ai governanti di questo paese, sono sia il superamento delle “tensioni” che hanno attraversato i reciproci rapporti sul terreno della guerra mediorientale che il coinvolgimento militare più ampio e organico della Turchia nella guerra a Daesh, tanto in Siria che in Iraq. Inoltre i termini di questo coinvolgimento sono stati approfonditi da Carter con il Ministro della Difesa turco Fikri Işık e con figure dello Stato Maggiore turco. Gli USA, ha sostenuto nei vari incontri Carter, auspicano che la Turchia sia la componente militare fondamentale, appoggiata da truppe dell’Esercito Libero Siriano (che opera, ricordo, sul fronte di Aleppo con Daesh e al-Nusra – ex al-Qaeda), della presa di Raqqa (la “capitale” in Siria di Daesh). Attenzione: per fare questo le forze armate turche dovrebbero entrare nel territorio curdo-siriano liberato cioè nel Rojava e restarvi stabilmente (e si noti come il governo baathista siriano abbia protestato contro l’entrata di truppe turche nel nord della Siria, dunque come quest’entrata possa portare anche a scontri militari anche tra truppe siriane e truppe turche). Infine in una conferenza stampa ad Ankara successiva agli incontri Carter, rispondendo a domande dei giornalisti, ha convenuto che ciò “ovviamente” comportasse l’esclusione delle milizie del PYD curdo-siriano dalla presa di Raqqa, ha elogiato la Turchia per la presa del villaggio siriano di Darbiq, prossimo al confine con la Turchia, da parte di milizie filo-turche (ex Daesh?) sostenute dall’aviazione turca (avvallando così la pretesa turca di impedire il congiungimento dei territori siriani abitati dai curdi nonché i bombardamenti a questo scopo di località recentemente conquistate da parte curda), infine ha dichiarato di “non essere ben informato” del fatto che la Turchia bombardi da sempre (adesso anche con l’aviazione) il Rojava. Massima felicità, ovviamente, dei governanti turchi, l’amicizia tra USA e Turchia è forte ed eterna, le forze armate turche non vedono l’ora, ecc.

 

Passiamo all’Iraq. La posizione del governo iracheno è sempre stata, in vista dell’offensiva per la presa di Mosul (“capitale” di Daesh in Iraq), che la Turchia non dovesse farne parte; inoltre questo governo da tempo chiede che il presidio militare turco nella parte curdo-irachena governata dal PDK di Barzani venga sgomberato e che l’aviazione turca cessi i suoi bombardamenti di Mosul: la quale, tra l’altro, ha prodotto stragi di civili. L’ONU a sua volta ha “imposto” alla Turchia, su richiesta irachena, di sgomberare: ovviamente la Turchia non l’ha fatto, dichiarando a pretesto che Barzani ha chiesto alla Turchia non solo di mantenere il presidio ma di prendere parte alla presa militare di Mosul, e, notabene, dichiarando sempre la Turchia la rivendicazione di un suo “storico interesse strategico” per questa città, ex capitale di una provincia ottomana, abitata anche da una consistente minoranza turcomanna, ecc.). Ma Carter, come abbiamo visto, ha dichiarato ai governanti turchi che gli USA sono favorevoli a un’implicazione militare turca nella presa di Mosul, limitatandosi a “raccomandare” ai governanti turchi e a Barzani il “rispetto” (c’è da ridere) dell’“integrità territoriale” dell’Iraq. In ogni caso il governo iracheno ha mantenuto la sua posizione, inoltre l’ha rincarata affermando che ogni atto militare turco in territorio iracheno verrà contrastato militarmente. I bombardamenti turchi su Mosul tuttavia proseguono, anche perché, d’altra parte, coordinati con i bombardamenti statunitensi e francesi.

Non è detto, aggiungo, che l’intesa Turchia-Barzani regga. Il pericolo che la guerra in Iraq a un certo momento diventi anche un intervento militare del governo iracheno e di milizie sciite, ma anche sunnite-arabe, contro il semistato curdo-iracheno, onde ristabilirvi la sovranità irachena, si sta facendo elevato: e Barzani per primo, presidente forma di questo semistato, deve tenerne conto. Inoltre la popolazione curdo-irachena vede la Turchia come il fumo negli occhi, e le contestazioni popolari nei confronti di Barzani sono sempre più forti.

Poi Carter si è recato negli Emirati Arabi Uniti, a chiedere loro di “rafforzare” il loro contributo alla guerra a Daesh.

Ma poi rientra in campo Kerry, e Carter scompare! Ecco cosa è saltato fuori un paio di giorni fa: la richiesta ai curdi siriani del PYD, non più da parte di un ministro ma a nome dell’Amministrazione USA (dunque, è opinabile, di Barack Obama – e, con lui, di Hillary Clinton, che delle questioni in campo si intende), di essere la forza fondamentale della presa di Raqqa (assieme all’Esercito Libero Siriano, tirato fuori, si presume, dalla trappola di Aleppo).  Né è da escludere, a parer mio, che questa svolta sia un risultato anche di colloqui riservati tra Kerry e il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.

I vari membri del governo statunitense (ma non solo: anche gli altri attori statunitensi operanti sul versante della guerra mediorientale: comandi militari, servizi di intelligence) si parlano tra loro? Concordano cosa dire ai loro interlocutori esteri? Anche il manicomio politico può uccidere povera gente, può rendere infinite le guerre, può aprirne di nuove. Ora speriamo che le operazioni avviate da Carter siano definitivamente archiviate. Come si vede, gli Stati Uniti ci riservano continuamente sorprese. E, in ogni caso, un danno grave e irreversibile è stato fatto: lo sdoganamento del regime criminale turco; a esso è stato offerto un dito da parte statunitense, ha già cominciato a prendersi la mano.

Cosa può essere intervenuto negli Stati Uniti, decomposizione a parte dell’unità politica del loro establishment? Forse una considerazione più attenta e responsabile di come si possa tentare di mettere un freno all’infinitazione della guerra mediorientale; indubbiamente, se così fosse, una anche considerazione più attenta alle convenienze politiche statunitensi, suscettibile quindi di un recupero di ruolo nel teatro siriano, che le stranezze di questi mesi (il consenso in specie alla Turchia di entrare in territorio siriano e di impedire ai curdi siriani l’unificazione territoriale dei loro territori) avevano portato gli Stati Uniti a non poter equilibrare la vittoria russa in atto nella Siria occidentale con una conforme vittoria statunitense nella Siria orientale, avendo i curdi siriani interrotto la cooperazione militare e la preparazione dell’attacco a Raqqa. Forse è così che è andata. Speriamo.

Rimane in ogni caso preoccupante l’evoluzione del quadro iracheno.

Continueremo a monitorare ogni sviluppo della situazione, suscettibile di produrre sistematicamente sorprese.

Un’ultima nota, su un fatto per così dire collaterale. Il Parlamento Europeo ha conferito stamane 27 ottobre il Premio Sacharov per i Diritti Umani alle donne yazide. Si ricorderà l’attacco di Daesh alla comunità curdo-yazida dell’area dei monti Sinjar, un territorio nord-iracheno confinante con la Siria, la strage della sua popolazione, la cattura di migliaia di sue donne e la loro trasformazione in schiave sessuali, la fuga dei superstiti sulle montagne; e spero che si ricordi che gli yazidi in fuga furono intercettati, difesi e protetti dalle milizie “terroriste” del PKK e del PYD.