Sostenitori di Erdogan a Ankara di fronte ad un maxi schermo con il volto del presidente © Reuters
Lager
Mariano Giustino
«Faremo pulizia in tutte le istituzioni del virus dei sostenitori di Fethullah Gülen», è stata questa la durissima dichiarazione del presidente Recep Tayyip Erdogan subito dopo l’annuncio del fallimento del golpe. Gülen, filosofo islamico, che vive in esilio volontario in Pennsylvania, e leader della influente e radicata comunità Hizmet (Servizio), già alleato del governo dell’Akp tra il 2007 e il 2011, è poi diventato acerrimo nemico del presidente Erdogan.
Secondo Ankara, è lui l’ispiratore del golpe; è stato accusato di essere a capo di una presunta organizzazione terroristica, costituente un vero e proprio «Stato parallelo». Un’organizzazione che avrebbe finalità eversive costituita da un gruppo di burocrati e militari infiltratisi all’interno dell’apparato statale, di quello giudiziario e dell’esercito.
Secondo Erdogan tale golpe sarebbe maturato all’interno di alcune gerarchie militari che si sentivano minacciate dalla operazione di pulizia in atto all’interno delle forze armate da parte del partito di governo. Erano già pronte le liste di coloro che dovevano essere rimossi dalle massime istituzioni statali e c’era all’interno dell’esercito una grande tensione tra i gülenisti. Il golpe avrebbe rappresentato una sorta di resa dei conti finale e sarebbe stato preparato già da tempo, ma la sua esecuzione sarebbe stata decisa prima della riunione del Consiglio superiore militare che avrebbe appunto espulso i membri vicini al movimento di Fethullah Gülen.
Ed ora è in atto la repressione non solo contro i presunti autori e responsabili del fallito colpo di Stato, ma anche una vera e propria epurazione di massa. Migliaia di funzionari dello Stato vicini alla comunità di Gülen stanno tentando la fuga dal paese per sfuggire alla gigantesca retata della polizia. Si tratta del tentativo di una vera e propria fuga di massa dal paese.
Intanto la polizia ha ritirato il passaporto a tutti i funzionari dello Stato. E sta procedendo casa per casa con gli arresti. La magistratura sta aprendo procedimenti penali contro tutti coloro che negli anni passati erano stati sospesi dal lavoro per appartenenza alla comunità di Gülen, prima che questa fosse inserita nella lista nera del terrorismo.
E ora, dopo il golpe, anche queste persone rischiano decine di anni di carcere. Si tratta di migliaia di funzionari e impiegati dello Stato. Il primo ministro turco Binali Yildirim ha ieri emesso un decreto col quale si è stabilita la sospensione per un anno delle ferie per tutti i dipendenti pubblici per compensare le fughe dal paese che si stanno verificando e gli arresti in atto.
La Turchia sta vivendo una immane tragedia che sta provocando terribili ferite le cui conseguenze sono destinate a durare per molto tempo. I mandati di arresto hanno preso di mira due membri della Corte Costituzionale, Alparslan Altan e Erdal Tercan, 48 membri del Consiglio di Stato, e 140 membri della Corte Suprema d’Appello. Per 2.745 giudici, pubblici ministeri e funzionari amministrativi è stata disposta la sospensione dal servizio da parte del Consiglio supremo dei giudici e dei pubblici ministeri (Hsyk).
Tra i nomi più significativi ci sono quelli dell’assistente capo militare del presidente Erdogan, il colonnello Ali Yazici; il comandante della Seconda Armata, il generale Adem Huduti; l’ufficiale esecutivo della base aerea di Malatya; il comandante della Terza Armata, il generale Erdal Öztürk; e il comandante delle Forze aeree Akin Öztürk, arrestato con l’accusa di essere la mente dietro il colpo di Stato. Sul suo destino si sono rincorse ieri indiscrezioni e smentite. Secondo l’agenzia turca Anadolu, che citava fonti giudiziarie, Öztürk aveva nel pomeriggio di ieri ammesso il suo coinvolgimento nel tentato golpe. Poco dopo, però, è giunta una notizia opposta: «Non so chi ha pianificato o diretto il colpo di Stato – avrebbe dichiarato il comandante delle Forze aeree – Non ho informazioni. Ho anzi combattuto contro questa struttura (il movimento di Gülen, ndr)».
La repressione è tutt’ora in corso e finora sono circa 8mila gli arresti effettuati. L’obiettivo è quello di ripulire tutti i ranghi delle forze armate, della polizia, della magistratura e di tutta l’amministrazione pubblica da ogni elemento vicino alla comunità di Gülen.
Il primo ministro Yildirim ha dichiarato nella prima riunione di gabinetto dopo il golpe che 312 persone sono state uccise nella notte del 15 luglio, di cui 60 erano ufficiali di polizia, 3 erano soldati e 145 erano civili. Le persone rimaste ferite sono 1491. I golpisti uccisi sono 104. Gli arresti finora effettuati sono 7.543, e hanno riguardato 100 ufficiali di polizia, 6.038 soldati, 755 giudici e pubblici ministeri e 650 civili. Sono stati sospesi dalla magistratura 2745 membri di vario rango. Inoltre sono stati finora arrestati 1.500 funzionari del Ministero delle Finanze e sospesi 8.777 funzionari del Ministero dell’Interno. Yildirim ha anche ringraziato i partiti politici, i media e le organizzazioni non governative per essersi opposti al il fallito colpo di Stato.
Il governo turco chiede da tempo, insistentemente agli Stati Uniti l’estradizione di Gülen. E ieri, il primo ministro Yildirim ha detto che la Turchia potrebbe mettere in discussione la sua amicizia con gli Stati Uniti se non sarà concessa. E in queste ore tra Ankara e Washington si registra una forte tensione dopo che il segretario di Stato americano John Kerry ha dichiarato che gli Stati Uniti non potranno estradare Gülen se non saranno presentate per vie legali prove inconfutabili delle sue responsabilità e che «la Nato vigilerà sul comportamento democratico della Turchia».
Intanto forte preoccupazioni desta il dibattito che si è aperto in Turchia sulla reintroduzione della pena capitale, dopo le richieste avanzate dalla folle inferocita durante le ore del golpe. Yildirim aveva dichiarato in quelle ore che il suo governo non poteva rimanere indifferente alle richieste di ripristino della pena di morte per punire i golpisti, ma ha sottolineato che la questione deve essere discussa in Parlamento. Ed ha aggiunto che «non sarebbe giusto agire in fretta nelle ore calde di questa crisi».
E’ il periodo più buio per la Turchia dal 1980. Per gli oppositori, quei pochi spazi di democrazia esistenti potrebbe ulteriormente restringersi. Ad allargarsi sono invece le tensioni interne al paese, tra sostenitori del presidente Erdogan e non.
Se ieri è stato il giorno dei funerali delle vittime del tentato putsch, con centinaia di persone accorse nelle moschee di Istanbul, i primi scontri “civili” si sono già registrati: ieri sera manifestanti pro-governativi hanno preso d’assalto i quartieri abitati dalla minoranza alevi, nella province orientale di Malatya. Cantando slogan a favore dell’Akp, un migliaio di persone hanno occupato le strade e si sono scontrate con i residenti, accusati di non aver preso posizione durante le ore del golpe. Una situazione che si sta ripetendo in molte città turche con sostenitori di Erdogan che sono scesi in strada, bruciato fantocci con il volto di Gülen e aggredito fino al linciaggio soldati semplici considerati i responsabili della tentata deposizione del presidente Erdogan. Una violenza che è anche di Stato: ieri su internet sono apparsi video e foto che mostravano decine di presunti golpisti spogliati, gettati a terra e picchiati dalle forze di sicurezza fedeli al governo.
fonte: Il Manifesto
http://ilmanifesto.info/epurazioni-di-stato-in-turchia/