Il quesito della sinistra italiana

Oggi l’assemblea ai Frentani, è scontro a bassa intensità, ma pesano già gli abbandoni

Roma. Oggi l’assemblea ai Frentani, è scontro a bassa intensità, ma pesano già gli abbandoni

Un’immagine della prima assemblea di Sinistra Italiana © Foto La Presse

Il clima, l’umore, i sentimenti sono quelli del lutto e del cordoglio dopo una settimana di avvenimenti tragici che tolgono senso alle beghe e ai conflitti di piccolo cabotaggio della politica, se mai hanno senso. In condizioni ’normali’, dopo la strage del treno di Andria – erano solo tre giorni fa – e l’ecatombe di Nizza della notte fra giovedì e venerdì, l’assemblea nazionale «aperta» di Sinistra italiana (oggi a Roma dalle 10 al Centro Congressi Frentani, anche in diretta streaming) sarebbe stata rimandata a dopo le giornate del lutto. <QA0>
Ma ’condizioni normali’ non sono per la sinistra italiana, minuscola e maiuscola, dopo la batosta (quasi ovunque) delle comunali, le polemiche. E gli abbandoni. Oggi a Roma infatti si conteranno le presenze, perché la partecipazione è sempre un termometro per la salute di un corpo vivo. Ma si noteranno le assenze. Alla vigilia dell’appuntamento romano si è ritirata la colonna sarda del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e del senatore Luciano Uras, renitenti alla leva in Si. Al loro posto hanno inviato un documento che chiede le dimissioni di tutto il gruppo dirigente («hanno fallito) e il ritorno all’originaria Sel. Ipotesi impraticabile, però: è un partito mezzo vivo e mezzo morto, tecnicamente parlando, o comunque in via di decomposizione almeno a livello nazionale – il tesseramento è chiuso e dirottato verso la nuova creatura -. Non a livello locale, invece, dove gli organismi di Sel continuano a vegetare, se non a vivere.

Non ci sarà neanche l’ex segretario Cgil e padre fondatore di Si Sergio Cofferati: se n’è andato senza clamore ma in dissenso profondo con la piega che prende il gruppo dirigente, a suo parere troppo chiuso: «Non si discute su niente, le poche decisioni si prendono in pochi, senza un minimo di confronto», ha spiegato ai compagni ai quali ha comunicato la sua dolorosa decisione. Argomenti riecheggiati alla riunione dei parlamentari due giorni fa. Con toni ruvidi. E in un post al vetriolo di Massimiliano Smeriglio, vicepresidente del Lazio e capofila del ’documento dei 100’ e cioè quelli preoccupati per l’avvitamento a sinistra: «Chi ha l’ambizione di fare il leader dovrebbe avere l’autorevolezza, la forza e persino l’astuzia di includere. Se ogni volta che si critica una fase costituente che i sondaggi quotano al 2,7%, si allude all’intelligenza con il nemico siamo alla frutta», «volevamo la partecipazione, assistiamo a pratiche da buttafuori».
Le distanze sono forti, se ci si parlasse chiaro. Ma alla vigilia dell’appuntamento, e cioè ieri, la discussione è stata tutta ricalibrata alla luce dell’orrore della cronaca «per evitare un dibattito surreale», c’è chi spiega sennatamente all’uscita del comitato esecutivo.
La relazione di apertura sarà dell’ex Pd Alfredo D’Attorre, un deputato pacato che però ha firmato un appello per la ’Lexit’, l’uscita da sinistra dall’euro, insieme a Stefano Fassina. Il documento che verrà approvato a fine giornata è stato condiviso all’unanimità dall’esecutivo (dopo qualche scontro) e sfuma con prudenza la questione cruciale del dopo-referendum. «Solo con la vittoria del No si può riaprire la costruzione di una proposta progressista per il governo del Paese», dice. Ma naturalmente «non si tratta di tornare al vecchio centro-sinistra dei vincoli e delle compatibilità europee», «non si costruisce il “nuovo futuro” senza riconoscere i gravi limiti di quella stagione». Una formulazione che evita un inutile frontale sulla questione delle alleanze. Perché se vince il No Renzi andrà a casa e tutta la geografia politica sarà diversa, cosa che naturalmente non significa automaticamente il ritorno al centrosinistra o l’appoggio a un eventuale governo di scopo. Se vince il Sì il Renzi del ’partito della nazione’ ne uscirà di molto rafforzato, tanto da rendere impraticabile qualsiasi idea di alleanza a sinistra. Inutile rompersi la testa, meglio procedere a pancia a terra con i comitati per il No e puntare alla cancellazione della riforma costituzionale (e la caduta del governo).

I conflitti interni di queste settimane dunque rimarranno sullo sfondo. Ma ci sono. A Roma, dopo il voto, il partito perde pezzi prestigiosi. È il caso di Cecilia D’Elia, l’ex assessora che è entrata nella giunta del municipio II, chiamata dalla presidente Pd Francesca Del Bello: di fatto ha lasciato Si. Sempre nella capitale per due week end consecutivi due assemblee delle diverse anime della sinistra (partiti, associazioni) hanno chiesto a Si di fermare le macchine o comunque di aprirsi. Poi c’è la questione del congresso di dicembre. Sventata l’ipotesi di anticiparlo a prima del referendum, è un meccanismo che va comunque avviato. A settembre una riunione del comitato promotore affiderà a due commissioni (politica e statuto) il compito di costruire l’impalcatura del nuovo partito. Le regole verranno scritte dall’esecutivo. Passaggio delicato: dovrà decidere se si ci si confronterà per mozioni contrapposte o per tesi. Non è un cretinismo burocratico: c’è da capire se le anime della fragile creatura si differenziano su molto o poco l’una dall’altra. O da una terza. Perché da ultima ma non proprio ultima c’è la questione dei futuri candidati leader. O candidate. Oltre ai nomi di Nicola Fratoianni e Stefano Fassina, insieme o in ticket, spuntano ipotesi di leve più giovani, meno segnate dai precedenti, ma già note e carismatiche come Marco Furfaro e Paola Natalicchio.

fonte: Il Manifesto

http://ilmanifesto.info/il-quesito-della-sinistra-italiana/