18 aprile 1948

18 aprile 1948.

Avevo 13 anni e mezzo .
Abitavo a Milano nel popolare quartiere di S. Siro: un dormitorio per oltre ventimila tra operai e impiegati delle grandi industrie vicine: Isotta Fraschini, Alfa Romeo, De angeli Frua, Galileo, Ferrotubi, Salmoiraghi, Alemagna. Ma anche della più lontane Caproni, Pirelli Bicocca e qualcuno pure delle fabbriche di Sesto S.G.

In quel quartiere fatto soprattutto di famiglie operaie, l’aria politica che si respirava nell’ aprile del 1948 era ancora quella degli scioperi del 43 e e del 44, della resistenza antifascista, della liberazione dai tedeschi, dai fascisti e della più recente vittoria repubblicana contro la monarchia gravemente responsabile per la dittatura fascista e per la rovinosa guerra.

In ogni caseggiato del quartiere erano vivi e brucianti i lutti e le distruzioni della guerra.

Moltissime le lapidi dei martiri antifascisti, dei patrioti partigiani caduti e delle persone annientate nei lager nazisti.

Nel mio cortile, 120 famiglie, tre o quattro figli ciascuna. In ogni cortile i gruppi (o bande) si formavano naturalmente a seconda dell’età ed erano composti da decine di bambini, di ragazzi, di giovani e tutti erano coinvolti in quella generalizzata partecipazione politica.

E lì, in quel quartiere, si aveva la sensazione che il Fronte Popolare, con l’immagine di Garibaldi, avrebbe sicuramente vinto le elezioni politiche indette per il 18 aprile 1948 .

Si doveva eleggere, per la prima volta nella storia d’Italia a suffragio universale, il primo parlamento della Repubblica Italiana.

L’avversario politico (e di classe, come si diceva allora) aveva mobilitato tutte le sue forze per impedire la vittoria del Fronte Popolare, cioè della alleanza dei socialisti del Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni con i comunisti del PCI di Palmiro Togliatti.

Ma il “popolo di sinistra” non poteva rendersi conto di quanto pesante fosse il ricatto ideologico della scomunica del Papa contro chi avesse votato per i comunisti o i suoi alleati; non poteva rendersi conto di quanto pesasse il ricatto economico.

C’erano manifesti con l’immagine di uno sfilatino di pane tagliato i due pezzi, la scritta diceva “questa metà te la regala l’America”. Centinaia di migliaia di italiani immigrati in America furono mobilitati ad inviare pacchi dono di beni di prima necessità e qualche dollaro ai loro parenti ed amici in Italia e a scrivere lettere con grandi raccomandazioni a non votare per i partiti del Fronte Popolare se non volevano avere i cosacchi bolscevichi ad abbeverare i loro cavalli nelle fontane di Roma.

Nella scuola media che io frequentavo (come in tutte le scuole d’Italia) molti professori si erano fatti portavoce di questa campagna ricattatoria e sollecitavano scolari e studenti a parlarne con i genitori.

Io ragazzino tredicenne partecipavo, con mio padre, ai comizi di Nenni, di Togliatti, di Pajetta che erano immensi raduni di popolo e infondevano entusiasmo e un grande senso di forza e non davo peso alle parole dei prof.

Insomma, anch’io ero convinto della vittoria del Fronte popolare e del successo di Garibaldi.

All’indomani della schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana, grande è stata la delusione e l’amarezza.

Ricordo che, qualche mese dopo, ad una assemblea pubblica della cellula del PCI di piazza Selinunte, il segretario, forse per superare il suo stesso sconforto per la sconfitta elettorale subita, affermava convinto che non saremmo arrivati al 1953 (data delle future elezioni) perché nel frattempo ci sarebbe stata la rivoluzione.

Quella affermazione non mi aveva convinto; delle due linee che si confrontavano nel Pci, per me la più convincente non era quella di Secchia ma quella di Togliatti.

Nel 1950 mi iscrissi alla rinata FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) e compresi (presumevo di comprende) che non c’era da attendere un improbabile giorno della rivoluzione, come palingenesi di ogni problema ma, bensì c’era da impegnarsi in una lotta di lunga durata per conquistare risposte ai bisogni, ai problemi, alle ingiustizie sociali, per rendere effettivi i diritti e le libertà sanciti dalla costituzione repubblicana e antifascista.

Renzo Baricelli

Sesto S.G. 18 aprile 2013