«Non fu Bartali a sventare la guerra civile dopo l’attentato a Togliatti» Nel resto d’Italia, forse. Ma non a Sesto San Giovanni, non nella piccola Stalingrado. Dopo quel luglio del ’48, è stato detto e scritto che era stato Bartali, Bartali e la sua vittoria al Tour, a evitare la guerra civile, a distrarre i comunisti italiani dal dolore e dalla rabbia per l’attentato a Togliatti. E i comunisti italiani erano tanti, allora. Ma le cose non stanno così, dice Armando Cossutta. O almeno non stavano così a Sesto San Giovanni, in quel caldissimo luglio del 1948. «La notizia della vittoria di Bartali l’ascoltai alla radio, come gli altri. Ero segretario del Pci a Sesto e le assicuro che per noi non cambiò niente. La gente aveva altro per la testa, in quei giorni. C’era in piedi lo sciopero generale, c’era ansia per la salute di Togliatti. Sesto era un’immensa fabbrica, c’erano tra i cinquanta e i sessantamila operai e tutte le famiglie erano mobilitate per lo sciopero». C’ è una foto che Armando Cossutta considera, con tutta l’ obiettività del caso, «davvero storica» (riportata di fianco all’articolo ndr). E’ stata scattata la mattina del 14 luglio 1948, nel rondò di Sesto Giovanni. Lui aveva 22 anni, «non ancora compiuti. Ero anche un bel ragazzo, allora», e arringava a una distesa di operai dal balcone della Camera del lavoro. Pallante aveva appena sparato a Palmiro Togliatti. «La notizia dell’attentato arrivò poco prima di mezzogiorno, per radio. Io mi trovavo nella sede del partito, vennero dei compagni a dirmelo. Allora a Sesto avevamo diciottomila iscritti, c’era la Pirelli che aveva ventimila operai, la Falck che ne aveva undicimila, la Breda quindicimila. Cercai subito di chiamare la federazione di Milano, ma non ci riuscivo e intanto la tensione cresceva. Bisognava fare qualcosa». Così, di corsa, il giovane Armando convoca nella sede del Pci il sindaco di Sesto, Oldrini, e il segretario della Cgil, Cavallini, e tutti i responsabili delle fabbriche. In mezz’ora, organizza una riunione. «Non sapevo che cosa avrebbero deciso, a Roma, Longo e Secchia, ma in cinque o sei stabilimmo la linea di condotta: tutti in piazza e, finita la manifestazione, tutti ad occupare le fabbriche. Toccò anche a me parlare da quel balcone, in un silenzio assoluto, pesante. Cominciai dicendo: “Togliatti è vivo, Togliatti vive” e la piazza ritrovò una sorta di momentaneo sollievo collettivo. Poi dissi: “E da adesso, è sciopero generale, ad oltranza”. Cominciò così, a Sesto e in tutto il Nord». La memoria di Armando Cossutta pesca nei dettagli di quelle ore drammatiche. «Venne da me, subito, il vicequestore di Milano, il dottor Fumante. Si mise sull’attenti. Mi disse: “Da questo momento mi consideri ai suoi ordini”. Fu una mossa abile, in questo modo controllava quello che bolliva nella testa dei comunisti». E nella testa dei comunisti, in quelle ore, davvero bolliva di tutto. In Toscana, ad Abbadia San Salvatore, ci furono scontri tra operai e polizia, morti e feriti. Lo sciopero generale fu una cosa travolgente, paralizzò il Paese. «Ma io non ho mai creduto al rischio della guerra civile. Era chiaro sin dall’inizio che bisognava evitarla». Non fu dunque la vittoria di Gino Bartali a far evaporare le tensioni? «Attribuirgli quel ruolo fu un’esagerazione. Ricordiamoci che Togliatti, prima di perdere conoscenza, raccomandò a tutti: “Tenete la testa a posto”. Gli ordini erano che lo sciopero fosse durissimo, senza sfociare nella guerra civile.
Maria Latella (Corriere della Sera 6 maggio 2000)
N.B. Nordmilanotizie sugli avvenimenti del 1948 ha pubblicato i ricordi del compagno Renzo Barricelli che puoi leggere cliccando quì
p.s. l’amico Alino Ducceschi, attento osservatore della Sesto di ieri e di oggi, ha riconosciuto nella foto che accompagna l’articolo il palazzo da cui parla Cossutta: edificio demolito alla fine degli anni ’50 per fare posto al “grattacielo del rondò” (all’angolo tra i viali Casiraghi e Gramsci)