7 febbraio 1927 – Juliette Gréco, la musa dell’esistenzialismo
«Mi chiamo Juliette Gréco e non ho mai avuto uno pseudonimo. Sono nata il 7 febbraio 1927 a Montpellier in una giornata che mi hanno detto fosse uggiosa. È stata mia madre ha raccontarmi che quel giorno pioveva ma ha anche aggiunto che ero una bambina fortunata perché la pioggia favorisce la crescita di tutte le piante, anche quelle più velenose». Così la cantante racconta l’inizio della sua vita. Dice anche che da ragazzina voleva impegnarsi a diventare santa nel convento di Dordogne, ma la vita le ha fatto capire che tra il paradiso e l’inferno la distanza non è così lunga. Per lei la porta dell’inferno, quello vero, si apre quando, adolescente, scopre, nella Parigi occupata dai nazisti, di avere il “sangue impuro” perché sua madre è ebrea e vive come in un’agghiacciante film il suo arresto da parte della Gestapo, la deportazione della madre e della sorella a Ravensbrück e a Holleinstein, il carcere nella prigione di Fresnes, cella 326, con tre prostitute che le insegnano tutto della “scuola superiore del marciapiede” e i giorni nel centro d’accoglienza dell’Hotel Lutetia in una Parigi liberata ma non ancora risorta. Quelle vicende Juliette se le porterà dentro per sempre. Odierà il suo naso lungo “da ebrea” e lo cambierà ben cinque volte prima di decidere che è tempo di fermarsi. La sua vita correrà veloce come il vento, scandita da un tourbillon di amicizie, aspirazioni, tradimenti, canzoni, ideali, matrimoni, poesie, film, avventure, sogni e storie d’amore. L’esistenzialismo sarà un arma in più per sferrare un calcio a una società che, pur avendo bisogno di cambiare, rifiuta il cambiamento. Offre la sua voce ai musicisti e ai poeti più famosi, regala parole e note alle passioni di una stagione in cui, come dice Simone de Beauvoir, si guarda al futuro «…con dubbi e speranze. Non potevamo essere sereni perché il mondo appariva ostile alle nostre passioni…». I primi passi nel mondo dello spettacolo non sono incoraggianti. La ragazza vuole fare l’attrice, non la cantante. Spinta dalla sua insegnante di francese Hélène Duc si presenta al concorso de le Conservatoire, una famosa scuola d’arte drammatica, viene respinta anche se la direttrice Madame Dussane annota nei suoi commenti che la ragazza è da tenere d’occhio. Juliette non s’arrende. Prende lezioni d’arte drammatica sa Solange Sicard e muove i primi passi sul palcoscenico della Comédie-Française nell’opera dove il regista Jean-Louis Barrault mette in scena “Le Soulier de Satin” di Paul Claudel. Tra teatro, cinema amatoriale e grandi serate con poeti, registi e aspiranti tali prendono corpo le notti di Saint-Germain-des-Prés e del Tabou, il Club privato dove si riuniscono gli esistenzialisti di cui diventa la regina. Qui la chiamano “la toutoune” (il cagnolino buono) e la amano alla follia, uomini e donne. Tutti copiano il suo trucco agli occhi con l’eye-liner corposo e abbondante, il suo maglione e i suoi pantaloni neri. «Io, Jean Paul Sartre, chansonnier e autore di liriche, mi impegno a far avere a Juliette Gréco, artista, giovane elegante e ambiziosa, cantante affascinante, una canzone scritta da me prima del 10 del mese d’agosto…» È il mese di luglio del 1950 quando il filosofo, cedendo alle sue sollecitazioni prende carta e penna e scrive poche righe di solenne impegno in un albergo di Juan Les Pins sulla Costa Azzurra. Sembra uno scherzo, ma un mese dopo a Juliette arrivano davvero due canzoni firmate da Sartre. Si intitolano Ne faites pas suer le marin (non fate sudare i marinai) e La perle de Paissy, ma la cantante non le interpreterà mai. Stando alla leggenda andranno disperse nella confusa stagione delle poesie, degli eccessi, delle seduzioni, della filosofia e delle battaglie politiche e culturali di Saint-Germain-des-Près. Se i versi e le musiche di Sartre si perdono nella confusione, altri personaggi le regaleranno perle preziose per i suoi concerti. Hanno nomi illustri come quelli di Jacques Prévert, Raymond Queneau, Boris Vian, Jacques Brel, George Brassens, Serge Gainsbourg, Charles Aznavour, Leo Ferré e tanti altri. Storie di una Francia d’altri tempi animata da idee e passioni travolgenti, passaggi di una vicenda collettiva nella quale Juliette cambia spesso pelle pur rimanendo sempre se stessa. Quando la sua voce, accompagnata dal pianista Jean Wiener vola per la prima volta sulla musica il successo è immediato. È nato un mito. Charles Aznavour le regala Je hais les dimanches, un brano rifiutato da Edith Piaf che le porta bene e le fa vincere il Premio di interpretazione a Deauville. I successi sul palcoscenico attirano l’attenzione dei discografici e arriva il primo contratto con la Philips. Nel cuore degli anni Cinquanta Juliette Gréco è ormai tra i protagonisti assoluti della scena musicale. Tutti la vogliono ascoltare e anche negli Stati Uniti somma trionfi a trionfi. Anche il cinema la vuole e le affida ruoli capaci di esaltare la sua enigmatica personalità. Non mancano parentesi difficili come quando il pubblico dell’Alcazar di Marsiglia la fischia lanciandole monetine sul palcoscenico, ma sono solo piccoli inconvenienti che non ne mutano il destino. Nel 1954 prende sotto la propria ala protettrice un cantautore sconosciuto d’origine belga che risponde al nome di Jacques Brel ed è la prima a portare sul palcoscenico le sue difficili canzoni. Il suo successo fa emergere gli autori fino a quel momento rimasti confinati nelle cantine di Saint-Germain-des-Prés. Nel suo repertorio entrano e prendono vita canzoni di Georges Brassens, Charles Trent, Léo Ferré e altri. La sua popolarità non conoscerà cali neppure con il passare delle mode. Decennio dopo decennio attraverserà da protagonista, i tumultuosi anni Sessanta e i contraddittori Settanta superando in un balzo solo gli Ottanta delle illusioni colorate e i Novanta dei fermenti nuovi arrivando al nuovo millennio con ancora tanta voglia di cantare. «Il palcoscenico e il pubblico sono come l’amore. Più ci si dedica e più se ne ha voglia». Poi, per evitare equivoci rassicura tutti su di sé con una frase che in questi anni è diventata il suo distintivo: «Tranquilli, con il passare del tempo, non sono per niente diventata assennata». Nel nuovo millennio Juliette Gréco interpreta se stessa senza indulgere nella nostalgia. «Io non so che cosa significa la parola “nostalgia”. Non l’ho mai capito e non penso di impararlo mai anche se mi dispiace che non si possa più pagare al ristorante con una poesia». Il suo cuore, la sua vita, i suoi sentimenti sono rimasti in Saint-Germain-des-Près dove i primi anni del nuovo millennio si è aperta una nuova battaglia. Non sono soltanto vecchi nostalgici quelli che denunciano la barbarie del degrado modernista del quartiere-simbolo di Saint-Germain-des-Près dove i caffé stavano diventano self service e dove i negozi di moda e d’abbigliamento espellevano le storiche librerie. Ci sono giovani pur nati e cresciuti nella globalizzazione del cattivo gusto e della colonizzazione culturale, proprio dalla riscoperta delle antiche radici traggono linfa per nuove battaglie contro l’omologazione e l’appiattimento. E quando la denuncia diventa movimento Juliette Gréco fa la sua parte. Si fa testimonial vivente dell’impegno, saluta i primi risultati con l’entusiasmo di un’adolescente e, come l’Araba Fenice rinasce a nuova vita.
Pubblicato da Gianni Lucini nel sito Rock e Martello
http://www.rockemartello.com/2015/02/7-febbraio-1927-juliette-greco-la-musa.html